Lettere da Nowhere City


Morire

Giorno Taldeitali, Mese qualunque, Anno Bisestile 

Cara Darla, 
la vita di un uomo è una cosa così facile da stroncare, ricordalo.
Un giorno invecchierai e darai molte cose per scontato, volente o nolente, prima su tutte la vita.
Capita.
Io sono morto ( mi imbarazza un po' parlarne, poiché non ricordo più quanto tempo sia passato) in un modo stupido.
Molti muoiono in modi stupidi, scoprirai, e probabilmente il mio caso non è  unico o, almeno, particolare come mi piace credere.
O forse sarebbe più giusto dire piaceva, non saprei dirti.
Un ragazzino si diresse in centro, si fermò nell'angolo Nord-Est di quella perfettamente quadrata piazza, aprì lo zaino e tirò fuori una benda.
Se la mise sugli occhi, frugò a tentoni nelle tasche e prese una pistola.
Una pistola è un marchingegno che serve a lanciare, grazie ad una esplosione controllata, delle zanzare metalliche ad una velocità astronomica.
Queste attraversano l'etere finché non si schiantano con qualcosa.
Di solito sono usate per colpire delle persone, per motivi religiosi, politici, sociali, sessuali, razziali, per pazzia o per semplice noia.
Le persone colpite, poi, si accasciano, rantolano, muoiono.
O almeno, così è andata per me.
I vivi dopo, discutono se tenerle in casa sia opportuno o meno, se non influenzerà negativamente i propri figli.
In casa nostra non ce ne sono, ma tua madre ha il porto d'armi e magari un giorno ti porterà ad un poligono, un posto dove puoi sparare senza veder nessuno accasciarsi, rantolare e morire.
Mi dispiace di essere stato così breve, temo che tu abbia molte domande alle quali non ho risposto ( o, vista l'età che avevi quando me ne sono andato, forse non ne hai ancora nessuna), ma riguardo ai perché e i percome, sono spiacente, dovrai rivolgerti agli uomini, per quanto imprecisi possano risultare, in quanto nessun dio è venuto a spiegarmeli.
Non mi pare di ricordare nulla del genere.
Dov'ero arrivato?
Ah già.
Il ragazzino brandì l'arma ed iniziò a girare su se stesso, fra l'indifferenza generale.
Girava, girava e si avviava pian piano verso il centro dell'agorà, tracciando una diagonale perfetta.
Arrivato al centro sparò, colpì un altro giovane, un vecchio, un adulto ed un essere che non era nessuno dei tre, il sottoscritto, generò il caos e fu ucciso da un colpo di fucile da cecchino che apparteneva ad un membro degli S.W.A.T.
Altro dirti non so.

Non posso giurarti che ti scriverò di nuovo presto, ma, fino ad allora,
Con Affetto,
Oleksandr.



Dormire

Giorno Tizio, Mese Caio, Anno Sempronio

Cara Darla,
dormire mi manca.
Sì perché questo che gli altri chiamano "Il sonno eterno", "L'eterno riposo", io lo vivo ( se si può definire così) come una veglia.
Sono sempre cosciente, credo.
Come ti ho già detto, nelle mie condizioni attuali, la certezza è un'utopia.
Ma non sono qui per lamentarmi.
Anche se il mio scopo non m'è chiaro.
Non lo è mai stato.
Un tempo ero un ghostwriter: scrivevo storie, racconti, poesie, romanzi e qualcun'altro metteva la sua firma a piè pagina, io venivo pagato per questo.
Non poi così profumatamente, se non rammento male.
Mi è capitato di lavorare per molti esseri umani: falliti, palloni gonfiati, geni incompresi, bastardi senza cuore, brave persone a cui serviva aiuto, gente che non sapeva neanche dove fosse di casa l'arte.
Ho pubblicato un solo libro, sotto falso nome.
Fu pubblicato da una casa editrice di bassa lega, ne fu stampata una prima edizione e finì nel dimenticatoio.
Il dimenticatoio è un luogo immaginario dove gli uomini gettano tutto ciò che determinano irrilevante, noioso, sconveniente.
Poi, secoli dopo, passa qualcuno, fruga nel cesto magico, ne estrae un nome e la polvere viene rimossa al fine di rivelarne oscritti, quadri, musiche che rivoluzioneranno la concezione mondiale di arte.
Qualcun altro prenderà il suo posto in quel luogo di oblio, in quanto diventerà scontato, superficiale, grezzo e banale rispetto ai nuovi standard.
Il ciclo si ripete così, all'infinito.
Il perché non lo conosco.
Forse è un altro tentativo di aggrapparsi all'eternità.
Ma dubito seriamente che verrà il tempo in cui si parlerà così di me, di me che ho lasciato così tante impronte e che solo una non ho camuffato per denaro.
Un vecchio amico mi chiamò, un giorno.
Aveva problemi finanziari, sapeva del mio lavoro ( cosa non scontata, dovrei mantenere la segretezza sulla mia attività), sapeva che avevo appena finito un libro.
Mi disse che poteva galleggiare ancora per un anno, tentò di chiedermi quello che io avevo già intuito che voleva, non ci riuscì.
Scoppiò a piangere mentre ordinavamo la seconda birra, la cameriera lo guardò disgustata.
Io, che ero cresciuto con lui, che ero andato al funerale di suo figlio, che avevo assistito senza far niente alla sua caduta, sapevo.
Sapevo cosa gli era costato anche il solo pensare di venirmi a trovare quel giorno.
Sapevo perché la sua gamba destra era rotta.
Sapevo perché da lì a poco sarebbe morto.
Sapevo che ormai era tutto inutile.
Eppure non rifiutai alla domanda che non mi pose.
È Bachmann, il suo nome, il libro lo intitolai "Il sogno della farfalla".
Lui morì una settimana dopo la recensione che lo bollò come "delirio di un pazzo".
In questo non-luogo mi sono rimaste solo due speranze ( anche se speranza non è la parola adatta): che un giorno il mio amico conosca l'immortalità e che tua madre un giorno venga a leggere sulla mia tomba la poesia di prefazione che scrissi per lei tanti anni fa.

Anche oggi (?) il mio tempo (?) è scaduto, rinnovando la promessa fatta,
Con Affetto,
Oleksandr.



Dormire 

Giorno x, Mese y, Anno z

Cara Darla,
mi accorgo ora di aver dimenticato tutta una lettera, tutta una vita.
Una vita non ancora finita, non ufficialmente.
Lui dorme, dicono.
Forse ti ricordi, era in camera con me all'ospedale.
Io lo intravidi in uno degli ultimi momenti della mia esistenza: era attaccato ad un apparecchio per la ventilazione artificiale, i muscoli di braccia e gambe atrofizzate.
Coma irreversibile, i parenti evidentemente avevano denaro a sufficienza per corrompere un medico affinché non lo assegnasse alla cremazione, ma non abbastanza da corrompere anche un fisioterapista.
A lui va il mio ultimo pensiero lucido, che però non riporterò qui.
Mi riservo il gusto di porgergli la mia domanda di "persona", se così si può dire, se sarà possibile, se esisterà ancora un "Qui", "Ora" o "Chi" per almeno uno dei due.
Allo stesso tempo non posso fare a meno di comunicarti la risposta.
Quella che mi aspetto, invano.
Quella che sognai, da vivo.
Quella che mi disse, mentre non lo potevo sentire.
Questo è ciò che mi disse, dice, dirà:
"Sì e no".

Darla, poniti sempre tutte le domande che puoi, anche quando credi di sapere già le risposte.
Con Affetto,
Oleksandr.



Forse

Giorno passato, Mese futuro, Anno incerto

Cara Darla,
cosa diavolo sto facendo?
Scrivo e riscrivo questa lettera, senza cavarne niente.
Ho qualcosa da raccontarti ancora, ma sfugge dalle mie mani come acqua.
Mi affiderei alle parole d'altri, ma non ricordo una delle migliaia di cose che mi sono state dette, che ho letto, che ho sentito per sbaglio, camminando per strada o viaggiando in treno.

Ad una quindicina di chilometri da casa, c'è una scogliera.
Ci andavo spesso, quando ancora non conoscevo tua madre.
Il viaggio era lungo, nonostante fosse per la maggior parte in treno.
Si prendeva il primo che andasse ad est e si scendeva alla seconda fermata, si facevano gli ultimi tre chilometri a piedi, nella boscaglia, lottando contro i grovigli di rami che bloccavano la strada ogni due passi.
Spesso ci andavamo in tre: io, Bachmann e Rosalie.
Rosalie si portava dietro sempre una katana, appartenuta ai suoi avi.
Si sedeva sull'orlo del precipizio, con una mano teneva l'elsa, con l'altra la lama e recitava antiche preghiere in giapponese, di cui lei stessa non ricordava il significato.
Rosalie ci ignorava completamente durante quei viaggi.
Sul treno dovevamo farle il biglietto noi, saliva come in trance e se il bigliettaio le rivolgeva la parola, lei si limitava a prendere la sua spada.
Non la brandiva, la abbracciava, come fa un bambino con un pupazzo per addormentarsi.
La prima volta che ci andammo fui io a guidare il gruppo per la strada, ci perdemmo tre volte.
Quando finalmente arrivammo lì, il sole tramontava.
La luce si rifletteva sulla custodia della lama, che lei aveva portato con sé, canzonandoci poiché non avevamo imparato nulla da tutti quei film horror che guardavamo.
Da quel momento in poi ci guidò sempre lei, sembrava conoscere mille strade, l'una più corta dell'altre, come se avesse percorso quei boschi per una vita o più.
Portarla via da quella scogliera era sempre un'impresa titanica: non rispondeva per decine di minuti e di tentare di allontanarla con la forza si aveva paura, sia per l'alta probabilità di cadere dalla scogliera, sia perché era terzo dan di Kendo.
Un giorno Bachmann, dopo l'ennesimo tentativo di convincerla che si era fatto tardi, si infuriò, la insultò pesantemente per più di un'ora, finché fini il fiato e le imprecazioni.
Ne seguirono cinque minuti di silenzio, poi lui andò a sedersi accanto a lei.
Rosalie gli sussurrò, appena udibile: "Perché?"
Ma questa volta fu lui a non rispondere.
Io mi ritrovai a dover convincere il doppio delle persone con la metà delle forze.
Mandai al diavolo entrambi, corsi via e presi in tempo l'ultimo treno.
La mattina dopo erano ancora lì, seduti con le gambe che penzolavano nel vuoto, ad osservare quella lama, così nera che sembrava che avesse divorato la notte.
Loro si alzarono in silenzio, in silenzio tornammo a casa.
Non tornammo mai più lì, Rosalie smise di praticare il Kendo, Bachmann nascose la katana.
In un paio d'anni Bachmann si sposò, Rosalie iniziò a farsi di cocaina.
Passò un altro po' di tempo Bachmann ebbe un figlio, Rosalie fu stuprata in un vicolo, trafisse l'uomo con la spada, che aveva ritrovato lo stesso giorno, in un vecchio magazzino che avevamo affittato noi tre.
Bachmann iniziò a scommettere, la moglie spendeva i soldi a destra e a manca, ignara di quanto fosse vicina per loro la bancarotta, il figlio si ammalò.
Rosalie fu processata, fu accusata di eccesso colposo, passò un anno in carcere, fu rilasciata sulla parola, smise di drogarsi, riprese l'attività famigliare, fondò un piccolo dojo.
E mentre i due continuavano a percorrere la china della vita asincronicamente, divennero amanti.
Inevitabilmente furono colti in flagrante, ma non dalla consorte di lui, ma dalla sorella dell'aggressore morto, che scoprì entrando a pulire la stanza dell'albergo dove i due si trovavano che " la tizia che se la stava spassando era quella stronza puttana che aveva squartato il mio Johnny".
Per un qualche strano motivo, lei teneva sempre una pistola nella tasca destra della sua uniforme, decise che era arrivato il momento giusto per servirsene.
Rosalie morì, Bachmann finì all'ospedale, la moglie divorziò, la malattia del figlio si aggravò, la cameriera si tagliò la gola con uno spazzolino da denti, affilato per l'occasione, la sera prima dell'emissione della sua condanna all'ergastolo.

Non sapevo come scrivere questa lettera ed ho finito per riempirla di sangue, figlia mia.
Bruciala se puoi.
Ma prima porgi i miei saluti alla katana che un Bachmann distrutto impiantò nel terreno che dà sulla scogliera, controlla che la luce abbracci la lama, come la proprietaria usava fare.
Con affetto,
Oleksandr.



Sognare

10 febbraio di ogni anno

Cara Darla,
finiscono qui le cose che avevo da dirti.
Delle tue domande ( Chi ero? Cosa facevo? Chi e cosa amavo?) non ho risposto a una, non come avresti voluto.
Sono stato attento a questo.
Il mondo ti riempirà di informazioni: tua madre, i miei amici, il postino, il panettiere, forse persino qualche scrittore per cui scrivevo, magari persino qualche giornale locale.
Tanti dettagli di contorno, tu hai queste cinque lettere, qui c'è la mia essenza, tutto quello che ero, tutto ciò che avrei potuto essere.
Ma non ti fermerai, scorre il sangue di tua madre nelle tue vene, una donna determinata come poche il mondo ne ha viste.
Mi mancherà il suo sorriso, diglielo.
Costruirai un mosaico di me, con tutto quello che sai, che ricordi, che ti diranno, che leggerai, che apprenderai tra le righe.
Formerai una sagoma delineata di sentito dire, lineamenti solcati dagli aneddoti, un abbigliamento intessuto di eventi, gioie, lacrime, risa, dolore e amore.
Queste lettere si perderanno nella matassa, come è giusto che sia.
Solo pezzi del puzzle.
Il mondo mi forgerà, lascia che questi miei scritti si perdano in mezzo al mare.
Piano piano, senza fretta, onda dopo onda, prenderò il largo e diventerò un puntino sullo sfondo.
Quindi non dare troppa importanza a queste lettere, non lasciare che il canto dei morti ti distolga dalla bellezza dei vivi.
Tutte quelle sfaccettature, non perderle mai, mi tengono in vita.
Ora passa avanti, su completa il quadro.
Riempi i buchi bianchi con quello che capita, aggiungi particolari, forse lì potresti mettere qualcosa, non credi?
Inizi a dimenticare dove hai iniziato?
No?
Allora non hai ancora finito.
Componi, taglia, incolla, lavoraci ancora un po'.
Sì, ci siamo quasi.
Mi senti, vero?
E, allo stesso tempo, iniziano a sfumare i miei contorni, mi sbaglio?
Ecco, ci sei, sorridi pure.
Ora non sono che un agglomerato di molecole a base di carbonio, ma non sono mai esistito così tanto come ora.
Sei riuscita a dimenticarmi, finalmente.
Ora riesci a ricordarmi veramente.
I miei capelli castani, quella foto che abbiamo fatto con la mamma in giardino, la volta che abbiamo festeggiato Carnevale a casa perché avevi la febbre.
Questi ricordi, non farti ingannare dal numero, sono tutto ciò di cui hai bisogno.
Vai avanti da sola, la strada d'ora in poi non la conosciamo entrambi.
Oleksandr.


Marie entra nella camera, alza la cornetta, compone il numero.
Esita un momento quando sente lo squillo a vuoto del telefono, poi la voce della ragazza la rincuora.
Lei è cresciuta, da tre anni non vive più a casa, lavora da cinque al giornale, le piace scrivere nel tempo libero.
Assomiglia al padre meno di quanto il lettore pensi, ma più di quanto lo scrittore si aspettasse, soprattutto nei piccoli gesti, negli occhi, verdi e un po' grigi.

- Ciao Darla, hai ancora quelle quattro lettere, quelle strane che ricevesti per anni? Lo sai che io non ci ho mai creduto in queste cose, ma vorrei comunque rileggerle.
Probabilmente si trattava di un mitomane, ma mi piaceva come erano scritte, mi ricordavano lui...

Con una mano tiene la cornetta, con l'altra regge un foglio, possiamo supporre cosa sia.

- No, mamma, mi dispiace, le ho perse.

La risposta della madre rimane in sospeso.
Lascia cadere il ricevitore, dondola appeso.
Mi avvicino, forse intravedo qualcosa.
Sì, ecco, la sua bocca.
Sorride.

15 commenti:

  1. Buona la prima!
    Nel senso che mi è piaciuta.
    Attendo con pazienza e interesse il seguito.
    Che nomi strani che hanno i due personaggi.

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  2. "Dormire" è la seconda.
    Esisteva una poetessa e scrittrice di nome Ingeborg Bachmann, ma ne sono venuto a conoscenza solo dopo aver scelto il nome.
    Ho letto qualche riga dell'anteprima del suo libro "Quel che ho visto e udito a Roma", mi piace lo stile, credo che lo comprerò...

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  3. Ciao La Carta.
    Magari ti potrebbe piacere leggere "Budapest" di Chico Buarque (non ti dico la trama) sui ghost writer. ;)

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  4. Grazie mille, non mancherò, appena avrò finito quelli che NON occupano la mia scrivania (sì ce ne sono altri, tanti altri)...

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  5. Questa è la terza, anche se in realtà è un post scriptum.
    Ci sto mettendo quaranta minuti per scrivere questo commento, che ho già cancellato tre volte.
    Ho scritto di Oles Oleksandr, poeta ucraino, di Marinella, la terza donna che ho amato, della mia salute, che è precaria.
    Per il primo valeva lo stesso discorso che ho fatto per Ingeborg Bachmann, della seconda ho già parlato, della terza, attendo anch'io di saperne di più.
    Quindi chiudo qui e aspetto la quarta lettera.
    "Forse"

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  6. A parte i nomi, è tutto decisamente fantastico.

    (Non è vero, amo soprattutto i nomi)

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  7. Ok, questa è la quarta.
    Ho un amico che pratica una tecnica mista tra Kick Boxing e vari stili di Karate e Krav Maga, il Budo defense.
    Mi ha spiegato che quando si allena deve concentrare quanta più forza può nei colpi, per poi scaricarla un attimo prima di colpire l'avversario.
    Questo lo spacciano per un esercizio di autocontrollo, ma in verità serve a far in modo che nessuno si faccia troppo male, per non mandare nelle rogne la palestra.
    Il problema è che ora lui pratica questa disciplina da otto anni e non sa quanto è diventato forte.
    Cosa non fine a se stessa, dato che se avesse da fare a botte seriamente, non saprebbe bene quanto trattenersi e quindi potrebbe anche ferire gravemente o uccidere involontariamente l'avversario.
    Nessuno ha mai letto ciò che scrivo prima d'ora, di conseguenza neanch'io so calibrarmi, mettiamola giù così.
    Quindi, se oggettivamente sto diventando troppo polemico, pedante, malinconico, depressivo, ditemelo, non può che farmi bene un commento come quello di Democritico al post precedente.

    ( No, non sto facendo ironia: siccome la mia voce cambia tonalità quando parlo seriamente, rendendolo evidente, quando rileggo ciò che scrivo non capisco mai se si capisce che sono serio e quindi ci tengo a ribadirlo per iscritto...)

    Chiudo qui, che se no viene più lungo il commento della lettera.
    Lettere che comunque rimarranno comunque come sopra, perché finire con un "tutti felici e contenti" mi scazzerebbe.
    Per il resto guarderò di lagnarmi meno, che neanche a me piace leggermi così...

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  8. Caro La Carta, per prima cosa devi insegnarmi a mettere i link nei commenti.
    In secondo luogo c'è solo uno stile di scrittura che non sopporto: quello "inutilmente" retorico.
    Non è che si debba essere sempre ironici, sarcastici, comici, satirici, surrealisti. Ogni tanto si può anche essere seri. Io per lo più non ci riesco. Ma quello che andrebbe evitato sempre quando si scrive è la ridondanza fine a se stessa.
    Io per lo meno la penso così: se allungando un periodo questo non può aumentarne il significato meglio metterci un.
    Il tuo scrivere non mi sembra abbia questa caratteristica.
    Ad essere onesto, in generale, mi capita leggendo - non solo te, questo vale in generale, l'ho già detto? - di scorrere rapidamente alcuni passaggi.
    Ma apprezzo anche le tue lagne, perché mi divertono (nel senso etimologico).
    E quello che non mi diverte non lo leggo nel tempo libero.
    Ho invece da offrirti una riflessione che potrai schifare come più ti pare: dal mio commento tu hai dedotto una critica che io non volevo fare.
    Bene: nell'interpretazione è risaputo che un grande ruolo è giocato dalle idee anche inconfessabili dell'interprete. Non è che la lagnanza (ed uso questo termine solo perché "fàmose prima a capìsse") stia cominciando a stancare te?
    (e questa è la copia di quello che ho scritto lì - non so ancora linkare)

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  9. Ok, mi sono appena accorto che avevi già risposto alla mia domanda (retorica). Sono un coglione.

    - Ok, ora dicci qualcosa che non sappiamo già (La Carta)
    - Il mercoledì è stato inventato solo in epoca medievale (Il Democritico)
    - Davvero? (La Carta)
    - No, ma non mi veniva in mente niente che fossi sicuro che voi non sapeste e volevo costruire un periodo con una consecutio temporum azzardata. (Il Democritico)

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  10. Hahaha, figurati, come puoi vedere sono aperto alle critiche, anche a quelle immaginarie.
    Come hai notato, è stata la mia idea fatta precedentemente che qui la lagnanza diventasse troppo pesante, non solo da leggere, ma soprattutto da scrivere, a sviarmi nell'interpretazione del tuo commento :-)
    ...
    ...
    ...
    ...
    ...
    Cazzo, a quella del mercoledì ci avevo creduto!

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  11. Ecco, sono finite.
    Sono felice.
    Parecchio devo dire.
    Spero vi sia piaciuto.
    Ora ascolto Something in the way, non trovo canzone più appropriata.
    Andrò a farmi una doccia, mi fumerò una sigaretta.
    E poi, chi sa.
    Il futuro è uno, i futuri sono tanti, abbiamo ancora meno di un anno, ho tutta la vita davanti.
    Concedetemi almeno di usare quei dannati dodici muscoli facciali ancora per un po'.

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  12. Ho letto le ultime due lettere solo adesso, porta pazienza arrivo spesso tardi ma... a volte neanche arrivo.
    Ci tenevo solo a dirti che mi sono piaciute, bravo.

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