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domenica 4 marzo 2012

Hello, hello, hello how low?

Potrei parlarvi di Roma, dato che torno adesso da lì.
Ma, invece vi parlerò del Giappone, di cui so poco nulla e dove non sono mai stato.
Tornare da una gita è sempre traumatico.
Se poi il tuo prof ha voluto percorrere un centinaio di chilometri nel corso di una settimana, è peggio.
A quanto pare ciò non fa bene alla mia coerenza.


A riconferma, questa è una capra caucasica,
 anche conosciuta come stambecco.

Ah, il Giappone.
Il luogo dove è Madre Natura a shakerare i cocktail.
La storia, le opere, la cultura!
La storia: mi ricordo di aver visto "L'ultimo samurai" una volta"...
Le opere: ho la serie completa del manga Dragon Ball in camera...
La cultura: le mascherine che indossano in quel di Tokyo non servono né a salvare i propri polmoni dallo smog della metropoli, né ad evitare di ingerire microorganismi per un culto smodato della vita ( anche se questa è vera in parte); i giapponesi ritengono un'offesa molto grave soffiarsi il naso in pubblico.
Paese che vai, caccole che trovi.


C'è anche chi gira con maschere così.

A Roma faceva parecchio caldo, neve non ce n'era più.
Secondo Alemanno è un piano dei comunisti per far impazzire i termometri.
Il cielo era di un bel colore azzurro, fino a che tenevi il collo piegato di 90°.
Quattro cose mi hanno colpito.
La prima, una chiesa dove bisogna pagare per accendere la luce e poter vedere i quadri del Caravaggio.
Verissimo che anche nei musei paghi il biglietto per entrare, ma almeno non ti prendono per il culo.

La seconda:


Non uscire dalla metropolitana ballando la tecktonik.

La terza:


Il trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da Cortona.

La quarta è stata una donna che faceva dei dipinti con bomboletta spray con una tecnica davvero spettacolare.
Purtroppo non ne ho foto, né avevo i soldi ( 10 euro, avevo lasciato il portafoglio in albergo, non guardatemi male, non sono COSÌ tirchio) per comprarmene uno.
Orsetta, se ti capitasse di avere un paio di minuti liberi e ti trovassi dalle parti della Fontana di Trevi, magari la trovi ancora lì.
Vale davvero la pena di vederla all'opera.

Tornando al Sol Levante, io sono un appassionato di manga, albi a fumetti giapponesi.
Uniscono due cose che amo: la scrittura e il disegno.
Quindi posti come Animate a Ikebukuro, nove piani di Dragon Ball, Death Note e Soul Eater e chi più ne ha più ne metta, o il quartiere di Shibuya, stracolmo di videogame, anime e manga, sono qualcosa come la Mecca:



"Sento dire che in campagna si vedono spesso cinghiali e orsi.
Ma io sono cresciuto a Shibuya, nel centro di Tokyo.
Qui spesso si vedono, piuttosto, tizi che si buttano dai palazzi, sotto i treni,
 o stranieri che brandiscono seghe."
Atsushi Ohkubo


L'avevo messa lei tra i motivi per cui amo il Giappone?

Nella capitale italiana ho alloggiato in un albergo, il Parco Tirreno, che a quanto pare non è quello in cui lavora l'Orsa.
A parte questo era perfetto: stanze spaziose, praticamente appartamenti, ampi balconi dove portare le compagne di classe a vedere il tramonto velato dal monossido di carbonio, fare una partita a briscola, fumarsi una sigaretta con gli amici alle 4 di mattina.
Voto 8\10.
La Carta, il primo blog\agenzia turistica.

Vabbè, s'è fatta ora di cena, anzi è passata da un pezzo.
Vi lascio ricordandovi che io sono come le maledizioni egizie, non ce ne si libera facilmente.
Au revoir.


Chi si aspettava questa canzone dal titolo del post
ha vinto un chilo di Stima ©

domenica 18 dicembre 2011

Le linee che tracciamo, sono tanto dritte quanto astratte

Lo ammetto: sono spesso distratto durante storia dell'arte.

Mi perdo parlando del più o del meno.
Mi perdo sfogliando il libro e guardando gli autori che non faremo mai, per mancanza di tempo e buona volontà.
Mi dispiace un po' per Rembrandt e quel suo Aristotele, per Giambattista Tiepolo e per il suo stile che mi ricorda qualcosa, un qualcosa che non riesco ad inquadrare bene.
Mi perdo disegnando cose sul banco, a confrontarle con quelle che ha disegnato il mio vicino, che spesso e volentieri scrive e disegna sul mio, per timore delle lamentele dei bidelli.


Delle volte capita che ne venga fuori qualcosa di bello,
come la foresta fossile di cui avevo parlato alla blogger schizofrenica per eccellenza,
ma le più tante volte ne esce roba del genere.

Io lo lascio fare, sia perché questo mio amico è davvero bravo, ma la sua indole abbastanza da cagasotto ( che poi non capisco, non è una persona timida, ma di fronte a cose minime, un rimprovero di un bidello, chiedere qualcosa ad una segretaria, scappa come un bambino impaurito) lo bloccherebbe, sia perché mi diverto a commentare cosa fa, ad aggiungere qualcosa, a cancellare, a criticare la sua completa incapacità a dare una traccia di tridimensionalità alle sue opere, nonostante l'uso smodato delle ombre.
Delle volte scrivo cose sul block notes, cose che potrebbero essere post, ma che non lo saranno mai, non solo perché spesso e volentieri le perdo.
Mi prendo parecchie note per questo, anche se nel caos che genero in quel metro quadrato filtra sempre qualcosa e alla fine ho sempre un'ottima media in questa materia, aprendo raramente il libro di testo con l'intenzione di studiare, senza mai prendere un appunto.
Boh.


Ecco, se avessi lei come compagna di banco, non disegnerei.
Ma, probabilmente, non cambierebbe il mio livello di attenzione alle lezioni... 

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Tre giorni fa ho suonato per la prima volta davanti ad un pubblico.
Una sola canzone, Lonely Day dei System Of A Down.
Io suonavo la chitarra elettrica, una parte d'accompagnamento, una di quelle che se non vengono fatte si nota, ma che se si fanno non la sente nessuno.
Le prove erano andate molto bene, ma nel complesso non abbiamo suonato molto bene.
O almeno così diciamo io e gli altri te del gruppo.
Perché i duecento presenti hanno risposto bene, molto bene, fin troppo bene.
Ok, niente lanci di biancheria intima sul palco, ma forse ha pesato l'età media degli ascoltatori, che forse avevano passato un brutto quarto d'ora ai tempi di Woodstock e non volevano ripeterne l'esperienza.
Ma le persone che non sono in quella cerchia ristretta e momentanea formata da chi sta suonando,  non si accorgono di cosa succede.
Tu, invece, che hai provato così tante volte da diventare tu stesso incarnazione della canzone, ti accorgi di ogni imperfezione, di ogni piccolo difetto, di ogni corda suonata troppo forte, di ogni anticipo, di ogni accento  non abbastanza accentuato e ti accorgi che quel mucchio d'argilla non diventerà mai la persona da cui hai tratto le sembianze.
Ma alla gente piacciono anche le statue, te ne fai una ragione, e anche se l'amaro in bocca di aver perso l'occasione di fare meglio un po' resta, ti rassegni all'idea che sei piaciuto.

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L'ho vista un'altra volta, per cui taglierò corto, non vorrei diventare ripetitivo e continuare ad inzuppare questo blog di lagne, di mie divagazioni su quanto cazzo avrei voluto stringerla io come faceva lui ieri sera, di quanto cazzo non riesca a capire se mi fa più fastidio o felice parlarle, di quanto cazzo non riesca comunque a staccarmi da lei, per un motivo o per l'altro.
Porca puttana, ormai questa storia l'ho superata, sapevo già da tempo la situazione, la solidità della stessa.
Ma è inutile negare che mi ha fatto male vederla con i miei occhi.
È inutile come il falso sorriso che ho messo su quando sono stato presentato al fortunato bastardo.
È inutile come le battute che ho buttato giù, per dimostrare che sono "quello simpatico", come lei mi aveva dipinto.
È inutile come me ora che ragiono sul perché lei finisca per parlare di me a tutti, anche a chi, considerati i nostri trascorsi, non le converrebbe parlarne, quando so già che la risposta è semplice: lei parla di tutto a tutti, anche per questo la amavo, perché era logorroica quasi quanto me.
Mi ha fatto davvero male.

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Se dovessi ringraziare tre persone per la loro generosità nei miei confronti, sarebbero: Omar, Balu e Oriano.
Li accomuna l'avermi dato una sigaretta in un momento in cui ne avevo proprio bisogno.
Di Omar ho già parlato, Balu ( della quale, sto provando a ricordare il nome, forse è Valentina; sì, sono un fottuto ingrato) che me ne ha offerta una fatta con le sue mani dopo il concerto, insieme a complimenti immeritati, Oriano mi ha chiesto se volevo fare un paio di tiri di una cosa anch'essa fatta artigianalmente ieri sera, quando mi lo ho incontrato di ritorno da una copiosa pisciata da birra.
Distaccarsi da una droga come le sigarette per darla a qualcuno senza chiedere niente in cambio, senza che ti venga chiesto, solo perché ti sembra che gli serva, per me è un gran bel gesto.


La prova è che se cercate su Google "dare una sigaretta ad un amico",
al massimo vi trovate questo.

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Non ho idea di quanto ci metterò a finire le "Lettere da Nowhere City", ma credo che prima gennaio la prossima non uscirà.
Non c'entra il Natale, beh non direttamente.
È che questo è il periodo in cui ritrovo la maggior parte di  quella dozzina di anime amiche e si ha tempo di qualcosa di più di un saluto andando a lezione.

Boh, magari mi tiro fuori un buco il ventitré, non prometto niente.
Scopro solo ora che ventitré si scrive con l'accento, lasciatemi un po' di tempo per metabolizzare.

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Era da metà Ottobre che non bevevo.
Tutto a puttane, dubito che sarà un'esperienza epifanica come quella dell'Orsa.

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Epifanica si scrive così?
Esiste questo termine?
No perché il correttore automatico di sto cazzo mi da come sostituti: Geraniacea, Monomaniacale, Vetrofania.
Forse sono io a non vedere il nesso, ma non credo che centrino con quello che volevo scrivere...
Forse è perché avevo scritto epifaniaca...

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Direi di chiudere qui va.
Lascio la cosa un po' in sospeso?
Nah.
Cosa sono quei tratteggi d'intermezzo?
È la linea logica del mio discorso, che come dice il mio prof d'arte, è tanto dritta quanto astratta.

sabato 26 novembre 2011

Il poema conclusivo di Minecraft

Questo post sarà inutile per tre motivi:

- È un copia- incolla dei crediti del videogioco Minecraft, quindi è un pesante spoiler.
- Sarà comprensibile a pochi ( chi conosce l'inglese e che possibilmente ha provato il capolavoro del Team Mojang).
- È anche un pretesto per avere un qualche spazio dove scrivere che ho scritto la terza lettera.

Ma mi giustificherò così:
- Ho dato ai volenterosi di conoscenza, la possibilità di cercarsi il significato di una nuova parola, ora che avete finito di spolpare OT.
- Non è mai stato un deterrente, inoltre posto ciò che segue più per me che per voi, per potermelo rileggere quando mi pare.
- Non riesco a fare a meno di dirlo.



I see the player you mean.
[Player Name]?
Yes. Take care. It has reached a higher level now. It can read our thoughts.
That doesn't matter. It thinks we are part of the game.
I like this player. It played well. It did not give up.
It is reading our thoughts as though they were words on a screen.
That is how it chooses to imagine many things, when it is deep in the dream of a game.
Words make a wonderful interface. Very flexible. And less terrifying than staring at the reality behind the screen.
They used to hear voices. Before players could read. Back in the days when those who did not play called the players witches, and warlocks. And players dreamed they flew through the air, on sticks powered by demons.
What did this player dream?
This player dreamed of sunlight and trees. Of fire and water. It dreamed it created. And it dreamed it destroyed. It dreamed it hunted, and was hunted. It dreamed of shelter.
Hah, the original interface. A million years old, and it still works. But what true structure did this player create, in the reality behind the screen?
It worked, with a million others, to sculpt a true world in a fold of the [scrambled], and created a [scrambled] for [scrambled], in the [scrambled].
It cannot read that thought.
No. It has not yet achieved the highest level. That, it must achieve in the long dream of life, not the short dream of a game.
Does it know that we love it? That the universe is kind?
Sometimes, through the noise of its thoughts, it hears the universe, yes.
But there are times it is sad, in the long dream. It creates worlds that have no summer, and it shivers under a black sun, and it takes its sad creation for reality.
To cure it of sorrow would destroy it. The sorrow is part of its own private task. We cannot interfere.
Sometimes when they are deep in dreams, I want to tell them, they are building true worlds in reality. Sometimes I want to tell them of their importance to the universe. Sometimes, when they have not made a true connection in a while, I want to help them to speak the word they fear.
It reads our thoughts.
Sometimes I do not care. Sometimes I wish to tell them, this world you take for truth is merely [scrambled] and [scrambled], I wish to tell them that they are [scrambled] in the [scrambled]. They see so little of reality, in their long dream.
And yet they play the game.
But it would be so easy to tell them...
Too strong for this dream. To tell them how to live is to prevent them living.
I will not tell the player how to live.
The player is growing restless.
I will tell the player a story.
But not the truth.
No. A story that contains the truth safely, in a cage of words. Not the naked truth that can burn over any distance.
Give it a body, again.
Yes. Player...
Use its name.
[Player Name]. Player of games.
Good.
Take a breath, now. Take another. Feel air in your lungs. Let your limbs return. Yes, move your fingers. Have a body again, under gravity, in air. Respawn in the long dream. There you are. Your body touching the universe again at every point, as though you were separate things. As though we were separate things.
Who are we? Once we were called the spirit of the mountain. Father sun, mother moon. Ancestral spirits, animal spirits. Jinn. Ghosts. The green man. Then gods, demons. Angels. Poltergeists. Aliens, extraterrestrials. Leptons, quarks. The words change. We do not change.
We are the universe. We are everything you think isn't you. You are looking at us now, through your skin and your eyes. And why does the universe touch your skin, and throw light on you? To see you, player. To know you. And to be known. I shall tell you a story.
Once upon a time, there was a player.
The player was you, [Player Name].
Sometimes it thought itself human, on the thin crust of a spinning globe of molten rock. The ball of molten rock circled a ball of blazing gas that was three hundred and thirty thousand times more massive than it. They were so far apart that light took eight minutes to cross the gap. The light was information from a star, and it could burn your skin from a hundred and fifty million kilometres away.
Sometimes the player dreamed it was a miner, on the surface of a world that was flat, and infinite. The sun was a square of white. The days were short; there was much to do; and death was a temporary inconvenience.
Sometimes the player dreamed it was lost in a story.
Sometimes the player dreamed it was other things, in other places. Sometimes these dreams were disturbing. Sometimes very beautiful indeed. Sometimes the player woke from one dream into another, then woke from that into a third.
Sometimes the player dreamed it watched words on a screen.
Let's go back.
The atoms of the player were scattered in the grass, in the rivers, in the air, in the ground. A woman gathered the atoms; she drank and ate and inhaled; and the woman assembled the player, in her body.
And the player awoke, from the warm, dark world of its mother's body, into the long dream.
And the player was a new story, never told before, written in letters of DNA. And the player was a new program, never run before, generated by a sourcecode a billion years old. And the player was a new human, never alive before, made from nothing but milk and love.
You are the player. The story. The program. The human. Made from nothing but milk and love.
Let's go further back.
The seven billion billion billion atoms of the player's body were created, long before this game, in the heart of a star. So the player, too, is information from a star. And the player moves through a story, which is a forest of information planted by a man called Julian, on a flat, infinite world created by a man called Markus, that exists inside a small, private world created by the player, who inhabits a universe created by...
Shush. Sometimes the player created a small, private world that was soft and warm and simple. Sometimes hard, and cold, and complicated. Sometimes it built a model of the universe in its head; flecks of energy, moving through vast empty spaces. Sometimes it called those flecks "electrons" and "protons".
Sometimes it called them "planets" and "stars".
Sometimes it believed it was in a universe that was made of energy that was made of offs and ons; zeros and ones; lines of code. Sometimes it believed it was playing a game. Sometimes it believed it was reading words on a screen.
You are the player, reading words...
Shush... Sometimes the player read lines of code on a screen. Decoded them into words; decoded words into meaning; decoded meaning into feelings, emotions, theories, ideas, and the player started to breathe faster and deeper and realised it was alive, it was alive, those thousand deaths had not been real, the player was alive
You. You. You are alive.
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the sunlight that came through the shuffling leaves of the summer trees
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the light that fell from the crisp night sky of winter, where a fleck of light in the corner of the player's eye might be a star a million times as massive as the sun, boiling its planets to plasma in order to be visible for a moment to the player, walking home at the far side of the universe, suddenly smelling food, almost at the familiar door, about to dream again
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the zeros and ones, through the electricity of the world, through the scrolling words on a screen at the end of a dream
and the universe said I love you
and the universe said you have played the game well
and the universe said everything you need is within you
and the universe said you are stronger than you know
and the universe said you are the daylight
and the universe said you are the night
and the universe said the darkness you fight is within you
and the universe said the light you seek is within you
and the universe said you are not alone
and the universe said you are not separate from every other thing
and the universe said you are the universe tasting itself, talking to itself, reading its own code
and the universe said I love you because you are love.
And the game was over and the player woke up from the dream. And the player began a new dream. And the player dreamed again, dreamed better. And the player was the universe. And the player was love.
You are the player.
Wake up.

Ringrazio Minecraft Wiki per il testo.
E Notch, per aver creato questa meraviglia.



sabato 12 novembre 2011

Scurrile

Ho appena cagato il mio intestino crasso.
E questo è parte del problema.
Chiamiamolo Danno.
Non sono gratuito, cazzo, questo preambolo mi serve per arrivare al punto.
Il mio dottore mi inquieta.
Dopotutto è un uomo che può esordire con "Buongiorno" e concludere un discorso con "Non inizi un libro troppo lungo".
Ma questo medico con dotto è qualcosa di più.

-Salve.
-Salve Carta, qual è il problema?
-Mi ha rubato la battuta d'entrata; ma, a parte questo, ho febbre alta da un paio di giorni e problemi di stomaco.
-Mmm, bene...

Bene?!?!?
Io cago a spruzzo e scaldo l'etere come un termosifone e questo sarebbe un bene?

-Type type type.

Batte i tasti del portatile con una violenza tale che penso che da un momento all'altro succeda questo:


O a me o a lui.


Borbotta qualcosa, l'idiota, che potrebbe essere "Lei ha un cancro, con metastasi ovunque", ma anche "Vola vola l'Ape Maia".
Mi schiaccia vari punti del cranio, per vedere se ho la sinusite, per vedere se è vero che premendo determinate zone la testa di un uomo esplode.

-Fa male?
-Intende oltre al dolore che mi provoca un palmo di mano che mi trapassa lo stomaco?

Lo so, è inutile e stupido lamentarsi dei medici, fanno di tutto per curarti.
Almeno spero, porca vacca.
Perché da come mi guarda, le rare volte che distoglie l'attenzione dallo schermo del computer, mi squadra come farebbe un cattivo di James Bond.

Finisce di scrivere\fare una cazzo di partita di solitario, mi da una fottuta vaschetta.
In cui travasare quella parte di me da cui mi separo solitamente una volta al giorno.
In poche parole: dovrò cagare in un bidet...
E vaffanculo, non c'è un cazzo da ridere.
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
Ora, fermatevi un attimo a pensare, magari rileggete pure.
Indovinate quale parola ho adottato?
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)

Avete sbagliato tutti, la parola che ho scelto è vulcaniano






P.s.: Questo post è stato scritto durante un delirio febbricitante, causato in parte anche dal fatto che blogger è andato a puttane ( niente video, niente formato di scrittura, niente cappuccino con brioches e sigaretta a fine post) , regolatevi di conseguenza...



Lunga vita e prosperità

venerdì 12 agosto 2011

Una vetrata di ottimismo

Delle volte ti ritrovi a contemplare un'opera da vicino, molto vicino, estremamente vicino.
Sì, insomma, sei inciampato quattro secondi fa in un filo a terra, hai barcollato tentando invano di salvarti dall'inevitabile, solo per poi ritrovarti a venti centimetri da un disco originale di Coltrane.
In un attimo ne contempli la copertina, guardi le incisioni sul trentatré giri,  leggi il titolo:"Bye Bye Blackbird".
In un'infinitesimale frazione di secondo, i tuoi neuroni provano ad associare quelle parole che hanno appena raggiunto la memoria a breve termine, a qualcosa di archiviato in quella a lungo termine.
Casualmente ti balza alla mente "Blackbird" dei Beatles e quella volta che l'hai suonata ad una ragazza al chiaro di luna, lei che dice di smetterla di suonare roba vecchia e ti chiede "La canzone del sole", tu che, tra il deluso e l'incazzato, le fai presente che le due canzoni sono uscite a tre anni di distanza ('68 - '71) e che non sei un cazzo di juke-box.
Che poi manco sai farla quella fottuta canzone.
E poi le tue labbra iniziano a formare la parola "fanculo", un po' per il ricordo, un po' per il fatto che stai per occupare lo stesso spazio fisico di una vetrata anti-proiettile con la faccia..
Il mondo, che per un po' ti era parso rallentato, come se gli ingranaggi del tempo fossero inceppati, riprendere a scorrere con la sua solita indole.
Tu ti schianti e rimbalzi all'indietro, cadendo con una posa simile a quella del protagonista di Assasin's Creed.
Solo che invece di un covone di fieno,  morbido, caldo, e con quell'odore fragrante che inevitabilmente ti fa pensare allo sterco di cavallo, ad aspettarti, trovi il freddo cemento.
Ti rialzi, intontito ma illeso, ti guardi intorno e non c'è nessuno.
Ti chiedi se stai vivendo un'esperienza pre-morte, oppure se, dalle sette di sera, in una mostra nascosta meglio dell'armadio che porta a Narnia, solo tu potevi capitarci.


Rasoio di Occam, scelgo te!

Esci fuori e trovi il vecchio amico che ti aveva consigliato di andarci, più che altro per scroccarti una sigaretta e un paio di di birre appena finisce il turno di sorveglianza della sopracitata esposizione.



- Allora Carta, piaciuta la mostra?
- Sì, mi rimarrà a lungo impressa in testa.


- Birra?
- Birra.



-...
-...



- Come mai così poca gente?
- Hai già dato la tua spiegazione qualche riga fa, ma se vuoi una seconda opinione...
- Il tuo commento mi pare pleonastico...
- E tu sei uno pseudo-intellettuale. Comunque: la mostra dovrebbe essere chiusa da una settimana, ma dato che questi stage scolastici devono durarne almeno tre, una tizia si è ritirata all'ultimo, al municipio svolgo un lavoro della rilevanza di una manovra finanziaria, il caldo, le cavallette, la maledizione di Tutankhamon, che al mercato mio padre comprò.
Insomma, è andato un po' tutto a puttane.
- E la tizia "Culo-A-Mongolfiera"?
- Lì!
( Indica un murale, rappresentante una mongolfiera rovesciata ed antropomorfa, dalle sembianze vagamente femminili ).
- ...
- Che c'è, Carta?
- Pensavo che la tua fosse una metafora...


Dedicato a Orsa Bipolare:
il mio cane, che mi guarda con disprezzo,
dopo aver letto questo post.
E per il fatto che l'ho chiamata Lira.

lunedì 1 agosto 2011

La sindrome della statuina d'oro

Rimanere delusi è una parte della vita, mi dicono.
È una di quelle frasi che sappiamo essere stronzate, ma a cui crediamo ogni tanto per confortarci.
Che sia un disco per cui abbiamo speso soldi e tempo per procurarci , che sia un libro che volevamo leggere da tempo o una ragazza con cui volevate uscire ( o meglio, in cui volevate entrare) da anni e poi è svenuta sul più bello, voi avete deciso di fare il galantuomo portandola a casa sua senza approfittarne, solo per ricevere come ringraziamento un getto di vomito in faccia sulla strada del ritorno.
Capita a tutti, suppongo.



A lui è andata peggio.
Ok, molto peggio...

Questo doveva essere uno sproloquio sull'inutilità di registi come Spielberg ( da lì il titolo del post: dai vecchio marpione, non puoi aggrapparti al tuo omino d'oro e sperare che io stia sotto a pigliarmi tutta la merda che ne esce fuori... dio, che brutta immagine), ma poi era venuta fuori una roba noiosa e petulante, sicché ho cancellato tutto.
In conclusione: Steven Spielberg è una testa di cazzo.
Ad avvalorare la mia tesi, direttamente dal Giurassico:


Lo Stegosauro:
aveva parte del cervello nel culo,
ma, nel suo caso,
 era considerato un balzo evolutivo.


Nota:
Nessun animale è stato  abusato nella produzione di questo post.
Il cane era consenziente.
Il ragazzino mica tanto.

sabato 23 luglio 2011

Gazzelle, Dragonball ed erba a tarda ora

Vi ricordate quando guardavate Dragonball?
C'erano quelle scene in cui Goku si faceva fregare dal nemico di turno e, in seguito ( perché sopravviveva sempre a 'ste cose), gli diceva: " Bravo, ma non ci cascherò un'altra volta!" ?
Stronzate.
Qualche anno di vita in questo mondo e realizzi che, immancabilmente si cade sempre negli stessi errori.
Morale della favola: non importa quanto sei forte, se hai la disgrazia d'esser un coprimario, sei fottuto.


Ok, qui si salvava...


...solo però al fine di morire circa così.


"Che, in fondo, tutti siamo i protagonisti della nostra vita".
Cazzate.

Al mondo ci sono tre tipi di gazzelle, secondo me: la prima, arrivata davanti a un dirupo, si ferma, guarda indietro, guarda in avanti e pensa: "Fanculo, lì ci sono i leoni in vena di roast-beef, là invece campi da brucare ( o qualsiasi altra cosa bruchino le gazzelle ); dopotutto, non è 'sto gran salto...".
E poi, se i leoni non l'hanno già raggiunta mentre si faceva 'sta sega mentale, prende la rincorsa e salta.
La seconda arriva, rallenta un po' in vista del dirupo, pensa: "Però! Il ragionamento della prima gazzella non è male, lo condivido".
E salta.
La terza gazzella, salta e basta.
Forse non vede neanche il dirupo, se lo vede non le interessa.
Non si ferma a rimuginare: manco si ricorda quando è stata l'ultima volta che l'ha fatto.
Anche perché ricordare sarebbe comunque pensare.
E pensare le fa venir mal di testa.


Andiamo a brucare un po' d'erba, va...

Non che sia tutta colpa sua ( o merito suo, se siete fan del machiavellismo ): il lavoro, il mutuo, la casa, i cuccioli di gazzella, i leoni, le mandrie da fuori che vengono a rubarci l'erba e altri capri espiatori simili.

Eh, i capri espiatori: tutti ne abbiamo qualcuno.
I genitori hanno i figli, i figli hanno i genitori, Mosconi ha "Quel mona che sbatte la porta", più o meno tutti hanno il governo.
Che, a conti fatti, è il motivo per cui non ne esisterà MAI uno fatto bene.
Continueremo ad eleggere poveri stronzi, canaglie di serie B, dicendogli: "Ehi ti va di fare il colpo grosso, il salto di qualità?".
Domanda retorica.

E così continueremo a saltar dirupi, felici e contenti sotto sotto, e se qualcosa andrà storto, se nell'atterraggio cadremo male e ci procureremo una slogatura, avremo qualcuno contro cui scagliarci.

Morale della favola: avete presente quelle gazzelle che vengono sbranate dai leoni nei documentari?
Altro che vecchie o stanche o acciaccate.
Semplicemente facevano parte del primo gruppo, alcune del secondo.
Mai vista sbranare una del terzo.

mercoledì 6 luglio 2011

The sands of time for me are running low

È una di quelle sere  in cui uscirei volentieri con gli amici a farmi una birra ed ascoltare qualche gruppetto locale, ma i soldi sono finiti, la compagnia non c'è, e, a quanto pare, il locale è andato a fuoco.
È una di quelle sere in cui uscirei con la mia ragazza, ma mi ricordo che una ragazza non ce l'ho più, dato che mi ha scaricato per un palestrato conosciuto al mare con le amiche.
È una di quelle sere in cui ho voglia di scrivere, ma le poche idee che mi vengono in mente non le ritengo buone.
È una di quelle sere in cui vorrei scrivere di getto, senza passare per Word, ma non ricordo come cazzo si fa la "e" accentata e maiuscola.
È una di quelle sere che mi farei volentieri una partita a Metal Slug, ma mi ricordo che lo ho rivenduto a Gamestop per TRE fottutissimi euro di sconto.
È una di quelle sere in cui ci starebbe bene una partita a biliardo, ma è andato a fuoco col bar.
È una di quelle sere che passo a cercare un buon CD da ascoltare, ma so già che ho lasciato in prestito i migliori ad un amico, per copiarseli sul computer. Mi ricordo anche che sono passati più o meno sei mesi da quando glieli ho dati. 
È una di quelle sere in cui leggerei qualcosa su Bile, ma dato che non hanno pagato l'affitto\ sono scappati con i soldi della prevendita del Libro\ l'Agcom li ha censurati, il sito oggi non funge più.
È una di quelle sere in cui sarei disposto a ubriacarmi anche in malinconica solitudine, ma in casa non c'è una goccia d'alcool manco a distillarla.
È una di quelle sere in cui il correttore automatico di Blogger mi sta veramente sui coglioni.
È una di quelle sere in cui decido di suonar qualcosa con la chitarra, ma non mi viene in mente niente con cui cominciare.
È una di quelle sere in cui guardo le zanzare schiantarsi contro i neon, per poi bruciare come piccoli fuochi fatui, e mi chiedo se non è un po' sadica come cosa.
È una di quelle sere che passa senza che me ne accorga. Sì, col cazzo. 
È una di quelle sere in cui, se avessi dieci di meno ( ma anche cinque o un tasso alcolemico decente ), passerei a suonare i campanelli delle case, per poi scappare veloce come il figlio di un leghista davanti a "50 cent".
È una di quelle sere in cui guarderei volentieri un film di Lynch, ma il download durerà ancora 12 ore.
È una di quelle sere in cui finirei di leggermi "Il vecchio e il mare", se solo ricordassi dove l'ho messo.
È una di quelle sere in cui scrivo un post a casaccio, lasciando al lettore in vena di seghe mentali il compito di metterlo in un ordine cronologico compiuto, perché io non ne ho proprio voglia.
È una sera di merda.