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mercoledì 10 ottobre 2012

Capitolo 3: Convalescenza


"Un breve sonno e ci destiamo eterni.
Non vi sarà più morte. E tu, morte, morrai."
John Donne, Sonetti Sacri X

Dal momento in cui mi sono svegliato in questa asettica camera d'ospedale, sono soggetto a scatti d'ira.
Forse è il bianco delle pareti, delle lenzuola, delle cartelle, delle tende, del ventilatore.
Mi brucia gli occhi tutto questo candore.
Quando Liz mi porta un bicchier d'acqua, non perdo l'occasione di afferrarlo e scaraventarlo contro il muro.
Una macchia, sono salvo.
Lei intanto è uscita, ormai non ci fa più caso.
Ormai lo fanno tutti.

La prima cosa che ho sentito uscendo dal coma farmacologico, una conversazione tra lei e un dottore, un chirurgo forse, è stata questa:
"È stato fortunato".
Fortuna.
Sopravvivere dopo essere stato sgozzato da un vetro rotto, normalmente lo sarebbe.
Ma in un mondo dove la morte non esiste più, lo è ancora?

Liz rientra mi chiede se voglio qualcosa, io le faccio segno di passarmi il giornale.
Non ho una particolar voglia di leggere.
Solo non riesco mai a guardarla in faccia, dopo, ripreso il controllo di me stesso.
Come fa a sopportare tutto questo?

È passato un mese ormai, e lei è ancora qui, nonostante tutti i miei tentativi di allontanarla.
L'ho pregata di farlo, mi ha tirato uno schiaffo ed è andata a prendermi la cena.
Non so se ho più paura che la mia presenza faccia male a lei o che la sua faccia bene a me.
Ora che mi sono abituato a questa mia condizione.
Ora che lo fanno tutti.

Non sono l'unico, non che la cosa mi rallegri.
Qualche sapientone ne ha pure coniato un termine, "sindrome dei morituri".
Coloro che dovevano morire, e non hanno potuto farlo, perdono la concezione di ciò che è importante, del piccolo e del grande.
Nel mio caso, per esempio, non riesco a rallegrarmi del fatto che io sia sopravvissuto, nonostante avessi la quarta e la quinta vertebra in frantumi, il midollo osseo libero di spargersi insieme a tre o quattro litri del mio sangue nell'atrio di un veterinario
Né del fatto che nonostante tutto posso camminare, grazie ad un'intervento chirurgico che fino ad un mese fa era impossibile.
No, l'unico pensiero che martella la mia testa e non mi fa dormire è che quel fottuto vetro mi ha tranciato di netto le corde vocali e io non potrò mai più parlare.

Da nessuna parte, nell'articolo riguardante questa nuova patologia, si parla di attacchi di rabbia.
A quanto pare, questa parte è tutta farina del mio sacco.

Liz dice che torna a casa, che se mi deciderò a fare un po' di riabilitazione, lei mi porterà qualcosa di pù recente da leggere.
Guardo la data, effettivamente è di tre settimane fa.
La guardo, ferma sull'uscio.
Una parte di me prega che non torni più.
Poi sorride e se ne va.
Quel cancro che mi è cresciuto dentro muore agonizzando, mentre ricambio quel sorriso.



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Dal Daily di tre settimane fa ( estratto):

"Dopo la comparsa del "Patibolo", così è chiamata la struttura in legno che troneggia la Piazza, è seguita un'ondata di panico, notizie non verificate si sono diffuse in internet, scatenando una reazione estrema delle nazioni confinanti, le quali hanno dichiarato le acque navigabili che ci separano dal resto della Nazione off-limits..."
"... non abbiamo notizie sull'eventuale presenza di altri Patiboli nel mondo"
"Fonti accertate testimoniano che l'ultima morte risale alle ore 23:37:02"

venerdì 27 luglio 2012

Capitolo 2: Spuntone di vetro

Adam fu uno delle prime "vittime".
(Adam era il nostro editor, tutto qui, per me il rapporto finiva lì).
La piazza era di strada per tornare a casa e vedendo il patibolo non provò niente...
(Adam era un tipo comune, sì, comune; cazzo, sto cercando di ricordare qualcos'altro di lui ma mi viene in mente solo "comune").
Guardò un barbone smettere di cantare e mettersi a piangere di fronte alla morte, ma lui non provava niente...
(Ma la moglie, se ne sa qualcosa?).
(Se ne sta lì, al Patibolo, come una deficiente, sembra in catalessi...).
Il legno non gli diceva niente, la corda non gli diceva niente, l'odore di vecchio non gli diceva niente...
(Cristo, il marito si è suicidato, tu come ti sentiresti?)
Non gli importava salire il primo scalino, neppure il secondo, né le urla del barbone che gli diceva di stare lontano "dall'opera del demonio"...
(L'hanno inquadrata al tg, continuava a ripetere "La cena è pronta, la cena è pronta, la cena è pronta...").
Quando il barbone gli afferrò una gamba, non sentì nulla.
(E il figlio, che fine ha fatto?). 
Non sentì le urla, le imprecazioni, le preghiere e le lacrime.
(È all'università, all'estero, forse non ne sa ancora niente).
Non sentì i morsi né le unghie che affondavano nella carne, non sentì il sangue colare lungo la gamba.
(Se state pensando di informarlo, vi ho già detto cosa ne penso, qualsiasi cosa sia, stiamone fuori).
Ma sentì la corda e per un momento provò una paura esaltante, con giusto un pizzico di piacere.
Poi la botola si aprii e torno a non sentire nulla.



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Io e Liz andiamo in piazza il giorno dopo la comparsa.
Ci sono ancora dei curiosi, un centinaio, molti meno di ieri.
Le voci non si sono ancora sparse, o ce n'erano poche o non ce n'erano proprio.
Nonostante questo, una recinzione di transenne e un poliziotto annoiato mi sembravano troppo poco.

Joshua l'aveva bollato come uno scherzo poco riuscito.
Kate piangeva Adam ( era lei che ci aveva messo in contatto con lui ed era quella che lo conosceva meglio nel gruppo).
Paresseux era interessato al conto e Liz era curiosa di vederlo.
Io no.
Avevo la continua sensazione che quella cosa fosse veleno per la mia realtà, quella che mi ero costruito così a fatica.
Ma era solo una costruzione in legno, con una corda, un uomo grasso sulla cinquantina a farle la guardia ed una recinzione inutile.
Totalmente inutile.

(Liz! Dove sei finita?).

Acconsentì ad andare, a patto di farlo in macchina.
Non che fossimo lontani, solo speravo di non trovare parcheggio ed avere una scusa per desistere, alla peggio potermene andare il più velocemente possibile da lì.

(Perché non riesco a muovere la testa?).

La sensazione di disgusto aumentava, diventando più tangibile man mano che ci avvicinavamo.
Dovetti accostare un po' alla cazzo, finendo quasi per andare a sbattere contro un albero del parco cittadino.
Aprii lo sportello e svuotai il contenuto del mio stomaco sul prato.
Liz non ci badò molto, scese sbattendo la portiera contro un vaso di rododendri e si incammino verso il Patibolo.
Per un momento, intravidi la stessa faccia spettrale della sera prima.
Poi mi chiese con tutto il disgusto umanamente possibile:
- Stai meglio?
- Sì, sì, solo un capogiro. Potevi fare a meno di abbattere quella pianta?
(Ridendo) - Io odio i rododendri.

(Che ci faccio a terra? Mi hanno spinto? Sono caduto?)

Sempre più vicini.

(Mi fa male la gola...)

Faccio le mie considerazioni sulla sicurezza, penso ai miei amici e alle loro reazioni.

(Liz! Liz! Sei tu Liz? Dammi una mano a rialzarmi!)

Una tizia scavalca, la folla se ne accorge prima dell'attempato mangia-ciambelle, il quale sfodera una scacciacani e la punta al curioso.
Intima di scendere, senza rendersi conto che sta parlando ad un'appendice, una mera incarnazione della massa curiosa che gli sta dietro.
Quella, ormai, è la scimmia che il branco ha designato per assaggiare le bacche rosse e vedere se sono commestibili.

(Vi prego, fateli stare zitti, fate star zitti i cani!)

Sale e tocca la corda, se la passa tra le mani.
Il poliziotto ha smesso di gridare e si allontana, non tanto perché vuole prendere le distanze, ma perché vuole  rientrare a far parte di tutti gli altri.
E noi con lui.

(Dio che dolore, perché mi brucia così tanto la gola?)

La donna tira il cappio.
Se lo infila tremando.

(Cosa, cosa cazzo è? Che cazzo è questa cosa?)

Alza la testa, ci guarda, sorride, ci dice:
-Visto? Non è successo niente...

(Perché mi guardi così? Perché piangi? Parlami Liz, parlami cazzo!)

La botola si apre.
La gente scappa.
Le bacche sono velenose.

(Vetro? Liz, che cazzo sta succedendo? Liz!)

Siamo gli ultimi arrivati e la folla ci investe come una mandria di rinoceronti.
Scappiamo in un vicolo, ma tutti ci seguono, ci superano, ci spingono.
Liz mi tiene per mano, mi urla di correre, ma non ce la faccio più, non ho più fiato.

(Oddio, non riesco a tenere gli occhi aperti, Liz ti prego aiutami).

Poi la folla dietro di me si apre e due fanali mi accecano.
Qualcuno mi ha fottuto la macchina ed ora sta per investirmi.
Non ho modo di scansarla.

(No, non può essere!)

Non mi colpisce in pieno e vengo sbalzato di lato.
Praticamente volo.

(Il cappio è vuoto!)

Le ultime cose che vedo sono:
- Un'insegna che proclama "Mike, il miglior veterinario sulla Piazza".
- La vetrata sottostante, appena lavata.


mercoledì 27 giugno 2012

Cap.1: Patibolo

"La morte non esiste. Mai è stata, e mai sarà. Ma abbiamo disegnato così tante immagini di essa, così tanti anni, a provare di capire che cosa sia, comprenderla, che abbiamo iniziato a pensarla come un'entità, in un certo modo viva e avida.Tutto questo, comunque, è un orologio fermo, una sconfitta, una fine, un'oscurità. 
Niente."
Ray Bradbury 

Tutto andava bene.
O perlomeno, sembrava che la vita non potesse fare altro che mettersi a posto.
Il lavoro, dopo così tanto tempo potevo saldare gli arretrati dell'affitto.
Sì.
Gli amici offrivano da bere al bar, si festeggiava la prima pubblicazione.
Kate ci provava con Joshua e io gli passavo i preservativi di nascosto, gli davo una pacca sulla pacca sulla spalla e gli dicevo: "Attento che questa se la sono rivoltata tutti come un calzino, come minimo c'ha la scabbia".
Si rideva, il barista portava il secondo giro, Liz mi sussurrava che oggi si stava da lei.
Festeggiavamo.

Erano le 23:37:02 di quel fottuto giorno.
Eclatante, no non è la parola giusta,.
Affatto.
Momentaneo, calza molto meglio.

Un attimo.
Cala il silenzio.
Il disco nel juke-boxe salta all'inizio di Sober.
Maynard arriva a cantare "There's a shadow just behind me..." e poi TUM.
La presa di Kate sul bicchiere che ha in mano si allenta, la tequila inizia lentamente il suo viaggio verso il pavimento.
Paresseux, il barista, fa strabordare il gin dal bicchiere che sta preparando.
Il sapore del mio White Russian diventa infinitamente acido, un odore di piume bruciate nel naso.
Un brivido ci attraversa tutti contemporaneamente e ci sentiamo obbligati a girarci a sinistra, verso l'entrata del pub.
Un secondo e poi...

"Making every promise empty..."

- Cazzo Kate, le mie scarpe! Le ho comprate ieri!
- Ehi barista, non puoi chiudere la finestrella? Entra un freddo...
- Scusa, non volevo! Oddio sono così imbarazzata!
- John, c'è qui il drink della tua amica. Il gin è traboccato, mentre lo prendi puoi dare una passata con lo straccio al bancone? Io chiudo in cucina, il tuo socio teme che entri l'inverno siberiano.
- Prendi anche un pacchetto di sigarette.
- Ok, ( ti ho preso queste così te ne scrocco un paio) segnami anche un pacchetto!
- Lo segno nella lista dei soldi che non vedrò più...
- Senti John, noi beviamo il bicchiere della staffa e poi andiamo.
- Joshua ha detto mi ha detto che mi porta a fare un giro con la Chevy.
- Ok, tu Adam che fai? Resti o te ne vai?
- Vado, vado. Domani io devo alzarmi per andare in redazione, a differenza vostra.
- Allora direi di brindare a... Ehi, Paresseux, ti unisci da solo o fai il barista solitario.
- Ok, ok. Ma solo perché me lo chiedi tu Liz, a te non posso dire di no. Non essere geloso, John.
- Sì, sì, ricordami di ringraziarti ogni giorno di avermela concessa, mio signore.
- Ok, dov'ero... Ah sì, brindiamo alla pubblicazione del primo numero di "Sleeping World"!



Saluti, arrivederci, monete che tintinnano sul bancone, la cassa che si apre, la porta che cigola quando viene aperta, il rumore di passi sul marciapiede, altri saluti, il motore della Chevy che ruggisce ed un urletto di Kate, la risata sommessa di Liz che incarna il fastidio che le provoca Kate e quel suo "copione da puttanella" ( così lo chiama lei ) che segue da sempre.
Proseguiamo a piedi e al secondo incrocio Adam gira a destra e se ne va per la sua strada, facendo un cenno di saluto con la mano subito prima di scomparire.
Noi due saliamo nel suo appartamento e consumiamo la vita, proprio la notte in cui è finita.

La mattina mi sveglio con i postumi nel letto.
Vuoto.
Mi alzo, con un palmo mi copro la fronte, con l'altro armeggio nel buio della camera alla ricerca della porta del soggiorno.
Apro e vengo accecato dalla luce del sole delle 9 del mattino, sparatami in faccia attraverso le finestre dell'appartamento al nono piano di Liz.



Mi ci vuole un po' ad abituarmi, mi pare che tutto il cervello sia in sovraccarico. 
Ricapitoliamo un senso alla volta.
Olfatto: profumo di caffè, ma anche... sì, toast bruciati.
Udito: solo un vociare sconosciuto, dev'essere la televisione.
Gusto: niente da riportare.
Tatto: niente di rilevante neanche qui.

Vista:
Liz seduta al tavolo nel soggiorno.
Guarda la televisione, dandomi le spalle.
Lei si gira, sbiancata in volto, lo sguardo assente che vaga come se io non ci fossi affatto.
Guardo lo schermo: una massa di gente occupa quella che a stento riconosco come la piazza.


"Cosa c'è d'interessante in tv?" volevo chiedere prima di guardare, ma ormai è inutile.
So già la risposta.
In televisione c'è il Patibolo.