sabato 24 settembre 2011

Sul logorio della vita moderna

Avvia il computer.
Schiaccia pulsanti a caso.
Nulla succede.
Spegne.
Riaccende.
Niente cambia, alla faccia di Eraclito.
Si guarda intorno, ma non c'è nessuno disposto ad aiutarlo.
Ancora colpi di polpastrello, impressi con la forza di un maglio, sulla tastiera.
E poi, improvvisamente, l'illuminazione: CTRL+ALT+CANC!
Non sa di preciso a cosa potrà servire, ma porco cristo, a qualcosa farà!
Mai la macchina sconfiggerà l'uomo, novello John Henry, vai e vinci per tutti noi.
Ok, questa sembrava una sigla da cartone animato alla Cristina D'Avena, pensa.
Compare una finestra, lui pigia i pulsanti con rinnovata forza, decisione e una punta di disperazione.
Inizia a sudare, sente gli occhi di tutti addosso.
Inevitabilmente, sbaglia.
Non se ne accorge, nessuno reputa opportuno avvisarlo.
Quindi, imperterrito, avanza tra pop-up e altra roba a cui l'autore non sa, né osa, dare un nome.
Ad un tratto, compare un messaggio: "Fuga nell'aldilà all'alba di Babilonia".
Per la sorpresa, non s'accorge d'urlare: "Ma che cazzo fai!?!", scatenando risa di scherno e sguardi di compassione.
No, a dire il vero, quest'ultimi no.
Era solo un espediente letterario.
Ergo, questa volta, le cazzate sono lecite.
Medita su di ciò, mentre si volta, paonazzo, rammentando i tempi in cui anche lui era d'altra parte della barricata.
"Fottetevi tutti!"
Si rigira.
Chernobyl fa da salva\schermo.
"Fanculo! Fanculo! FANCULO!!!"
Pecca d'originalità, ma il messaggio passa.
La rabbia muta in disperazione, la disperazione in rassegnazione, la rassegnazione in umiliazione, l'umiliazione in rabbia.
Tutto perde d'importanza, tranne questo loop emotivo , che accelera, sempre più, formattando il suo raziocinio e ripristinando file primordiali zeppi di pazzia, che infettano la sua mente in un climax virale.
Mille emozioni sconvolgono il suo volto, come se ognuna combattesse per ottenere il diritto ad occupare un appezzamento di viso, deformandolo in un grottesco sorriso.
Si alza.
Corre.
Si getta dal terzo piano.

Silenzio.

Un alunno si alza, si avvicina alla finestra, guarda in basso verso il corpo esamine ed urla:

"Prof! Ha provato ad attaccare bene la spina della corrente?"


sabato 17 settembre 2011

Assenteismo

Ho fatto un viaggio spirituale.
Dalla campagna a casa mia.
Fermandomi al bar, lo ammetto.

Ho assunto droghe: le solite ( alcool, fumo, qualcosa di simile), nuove ( marshmallow a forma di puffo, danno dipendenza), vecchie che avevo deciso di abbandonare ( arroganza, odio immotivato, saccenteria e altre cose che fanno di me un povero stronzo).

Ho letto un libro.
Ghiaccio 9, di Kurt Vonnegut.

Ora mi sento, dopo anni, vicino alla religione.
Ho avuto il mio vin-dit.
Forse sono un bokononista.
Ma Bokonon direbbe: " Chi non lo è?"

-Cosa hai fatto quest'estate?
-Ho respirato, ad intervalli regolari.
Venti, trenta volte al minuto; anche quaranta, talvolta, ma non voglio darmi delle arie...

Mi sono posto delle domande, niente di eclatante.
Non è che mi interessi molto chi sono, probabilmente non mi piacerei.
Ho ricevuto risposte, le più stupide da me stesso e dal magico essere che vive nel fondo dei bicchieri.

Alcuni quesiti li ho lasciati per voi:

1) Perché i cartoni animati per bambini fanno così schifo? Che fine ha fatto Pingu?
2) Perché non riesco a sconfiggere Luca Blight in Suikoden II?
3) Perché quando faccio un elenco di domande non ricordo cosa dovevo scrivere e, quindi, mi ritrovo a dover riempire gli spazi con le prime due cazzate che mi passano per la testa?

E, per finire, due grandi rivelazioni:

1) Ho scoperto che gli indici dei miei piedi ( hanno un nome particolare? ) sono più corti dei miei alluci.
2) La birra vecchia non fa buon brodo, provoca una violenta diarrea.



venerdì 2 settembre 2011

Non è di questo che sto parlando

Mi sono svegliato in un mondo che dorme.
Questa frase non è mia, ma tant'è.
Ti guardo negli occhi e non ci vedo niente.
Pupilla leggermente dilatata, iride verde.
Nulla più.
Forse un orzaiolo, ma non ne sono sicuro.
Anche se non credo sia il motivo per cui continui a pulirti gli occhi.
Né sono le mie parole, beninteso.
So che preferisci un Leonardo Di Caprio morente a me, anche se il suo ruolo è quello di un tizio che si scopa una ricca per avere una stanza comoda dove alloggiare.
Sicché fanculo, il dado è tratto.

-Ok, il punto è che tra noi è finita.
-Shh, adesso è il punto in cui muore...

Coincidenze.
Mi alzo, me ne vado.
Se ne sarà accorta dopo mezz'ora, quando mi manda un messaggio "Ehi, dove sei? In bagno?"
Già, ma stavolta la stronza, l'ho lasciata altrove.

Fumo una sigaretta, un mese andato a puttane.

Poi la storia non è manco andata così.

La verità è che eravamo alla "Pineta" tipico baretto di paese, appunto in mezzo ad una pineta.
Lei era lì con delle amiche, proiettavano "Titanic" con un proiettore su di un telo bucherellato ed ingiallito dalle intemperie ( ma anche, soprattutto, dalle pisciate dei gatti randagi).
Rileggendo forse vi chiederete, dove sopra io abbia mentito.
No, probabilmente non ve ne fotte un cazzo...

Tutto ciò che ho scritto corrisponde al vero, ma le cose che stavo pensando mentre scrivevo, erano false.
Tutte balle, per dare un tono epico ad una vicenda inutile, che ambisce ad essere triste.

Ma come già detto, a voi non fotterà un cazzo...

Urlerete, forse: "Stronzo, tutto questo tempo non ti ho mai offeso, ho dimostrato persino sincero (forse) interesse! Che cazzo ti prende adesso!?!"
Magari direte: "Perché te la prendi con me, non ti ho fatto niente anzi!"
Comunque penserete: "Solito blogger che fa il "cattivo", solo perché fa figo, ma poi non avrebbe le palle di dirmi le stesse cose in faccia, un codardo, che con tastiera e Web 2.0,  crede di essere il dio del nuovo mondo"

Scusate.
Scusate se vi ho fatto credere che ci sia un rapporto, di amicizia, fiducia, rispetto, tra noi.
Non era mia intenzione.
Ad essere sinceri, magari con qualcuno è pure nata una scintilla, un barlume, una sorta di fusione mentale vulcaniana.
Ma non credo durerà.

Perché me la prendo con voi?
Perché, quella volta, non riuscii a prendermela con lei!

Sì, si riduce tutto a questo: sono frustrato...
Che cazzo vi aspettavate, inseguimenti epici, sparatorie, illuminazioni sulla via di Damasco?
Sono troppo giovane per queste stronzate...
E sono troppo vecchio per tutti questi punti di sospensione.

Sospensione: io ti guardavo immobile, in piedi in mezzo al bosco, mentre tu tornavi dalle tue amiche.
Io rimanevo solo.
Non sentivo più le gambe, mi appoggiavo ad un albero.
Vomitavo.
(Non prenderti il merito, io tredici birre non le reggo, reggevo)

Tu eri girata, non ti vedevo il volto, ma tutt'ora ti immagino, spensierata, sorridente, senza malizia, che te ne torni da loro.
Non ho mai saputo se parlasti a loro di me, credo tu non l'abbia fatto.

Le odiavo, odio, tutte quelle sette pettegole.
Non per come mi guardavano, mentre ti portavo via, mentre tu portavi via gran parte di me.
Solo in quanto esistevano.
Erano un appoggio che io non avevo, una via di fuga.
Un'uscita d'emergenza con su scritto " -Che voleva quel tipo? -Niente... torniamo al film".
Scusa, se ti parasfraso Josef K.
Fanculo, comunque.

Tu tornavi, io rivedevo la cena, un panino mangiato al volo, che sapevo già come andava a finire, più o meno.

Cosa mi aspettavo?
Boh, che ne so, è lunica volta che sono stato io a lasciare.
Un'incazzatura. Un pugno o uno sputo in faccia. Una derisione. Una lacrima.
No, quest'ultima no.
Però c'avevo sperato.

Lo ammetto, ho sperato troppo.
Tre mesi buttati a sperare.
Sperare in te, in me, in quel noi che non è mai praticamente stato vero, non per te.
Sperare di smettere di fumare, anche se avevo appena iniziato, sperare in una piccola, coraggiosa miniatura del Duomo di Milano, sperare che tu ti nascondessi soltanto, dietro alla tua freddezza, sperare che  il mondo fosse un posto migliore, magari piantare un albero, sperare nella neve, sperare di essere sempre divertente e sagace, farti ridere e pensare, che dopo baciarti, erano le cose che amavo di più.
Sperare che tu condividessi un po' ciò che provavo, sperare che la nostra clandestinità non era vergogna, ma un capriccio, una perversione, riservatezza, qualsiasi cosa ma non vergogna, sperare che tu non fossi così superficiale come delle volte sembravi ( che, poi, non è che anche tu fossi la fine del mondo, anche se questo, è vero, lo dico con l'amaro in bocca, tutt'ora, come la volpe all'uva), sperare, sperare, sperare.

Sperare.

Con un albero come unico sostegno, con il vomito sulle scarpe e un po' sui jeans, forse una lacrima, ora non ricordo bene, che scendeva sul mio viso, con te che acceleravi il passo, con le tue amiche che ti gridavano di muoverti,  che la nave era già quasi affondata, iniziò ad essere difficile.
E disgustoso.
Le speranze hanno segnato la nostra relazione, che è diventata praticamente solo mia, fino al punto a cui sono arrivato.
Sono stato io a troncare, ma (forse) non lo volevo.
Solo un capriccio, una prova, dopo tutte quelle che avevo sopportato.

Mi avviai a quel laghetto, dove ti avevo suonato quella canzone, ricordi?
La prima volta (di tante) che mi sono incazzato, la prima volta (di non poi così tante) che ti ho baciato.
Un lago artificiale, un monumento involontario alla magnificenza dell'uomo, protetto da pini che la natura aveva posto tutt'intorno, silenti guardiani, che ogni tanto bisbigliano qualcosa.

Avevo provato a insegnarti ad ascoltarli, le avevi definite stronzate e avevi riso, come facevi sempre.
"Stronzate" e ridevi.
Dio, quanto ti amavo.

Eppure sono stato io, chissà quanto sarebbe andata avanti la storia.
Oh, scusa, forse sembra che me ne penti.
Non è così (forse).

Solo che oggi, mentre si avvicina, minuto dopo minuto il giorno in cui ci siamo incontrati...
Beh, sinceramente a questo punto non so come finire la frase.
Cazzo, forse sono patetico, ma lo sono stato a lungo, ricordi?
No, probabilmente è questione di punti di vista...

Però quegli alberi sono ancora lì, tutti.
Quelli silenti, quello che mi offri una spalla per compiangere me stesso.
Li guardo ancora, sai.
Anche se mi fanno pensare a cose che vorrei cancellare, ma che non farò mai (forse).

Eppure per un momento o due ci ho creduto.
Che è molto diverso dal sperare.
Molto, molto, infinitamente più doloroso.

Gli alberi sono più saggi di me, credo.

Ma loro, avranno provato ciò che ho provato io?
Credo di no, credo di sì...

Avranno mai biasimato se stessi?
Soffia una risposta tra le fronde: "forse".

Non piangerò la tua mancanza, non lo ho fatto allora (forse), non credo che lo farò ora.
Non credo.

Fanculo, non riesco nemmeno ad odiarti.
Sarebbe una consolazione, credermi.

Riuscì ad odiare Silvia, anche molto.
E così tirai avanti.
E di questo me ne vergogno, me ne pento, mi odio, mi biasimo, vorrei aver strappato la mia anima, la mia carne, avrei voluto trovare la forza di farmi un cappio, saltare magari, superare tutto, essere superato da tutto, resistere, arrendermi, combattere, rassegnarmi, infuriarmi, gridare, parlare sottovoce, piangere, cadere, alzarmi,vivere, morire,tremare,soffrire,crescere,vincere,vincerti,dimostrarti il tuo errore, distruggerti, crearti, odiarti, amarti.

Ma sono un codardo.

E quel giorno rimasi a guardarti andare via, verso lidi migliori (poi fosti molto felice, con un altro, dicono, ma di questo non riesco a rallegrarmi, perché io ho sofferto come un cane), mentre di me non restava che un'ombra appoggiata ad un pino, il quale era più uomo di lui, con delle macchie di vomito e la tristezza negli occhi.

Giulia, due anni son passati.
Le speranze, sono solo cenere, sabbia, ruggine e frammenti di corteccia.

Ma (forse) riuscirò a piantare un albero.