mercoledì 30 novembre 2011

Sigaretta?

Fumare sta diventando un problema.
E non parlo del vizio, non ci sono ancora dentro e neppure del costo, che riesco, per ora, a mettere in bilancio.
Neanche delle persone.
Posso capire ( sempre che siano disposti ad accettare il fatto che anche la cirrosi epatica, la pressione, il colesterolo, gli autobus uccidono) quelli che mi vengono a dire che mi sto ammazzando, perché parlano con cognizione di causa .
E sopporto quelli che dicono che la sigaretta la uso come "oggetto di tendenza".
Lo ritengo un ragionamento del cazzo, non gli do peso.



- Guarda che fumare non ti rende figo, lo sai?
- Guarda che aprire la bocca ed emettere suoni non ti fa essere diverso da una bertuccia, lo sai?

Non che io abbia niente contro le scimmie.
Quella della foto, in particolare, mi pare molto più rilassata di quanto sia io negli ultimi tempi.
Il mio personale Dottor Mengele ha smesso di cantare le sigle dei cartoni partorite dagli allucinati lombi di Cristina D'Avena, ora spara diagnosi a caso.
Cioè, c'è uno schema dietro al tutto, ma ciò che l'ultimo anello della catena ( che sarei io) riesce a comprendere è solo che la medicina è basata sul mero culo.
Quindi domani vado a farmi esaminare: avrò l'epatite C, B, o l'incidente in bici di quattro anni fa ha fatto danni più gravi di quanto si pensasse?
Fate la vostra puntata, le scommesse sono aperte.

Anche quel minuscolo sottoinsieme dell'umanità che reputo amico non se la passa bene, ultimamente.
C'è chi vede la propria carriera scolastica andare a picco, ma spera di tirarsi su nel prossimo quadrimestre ( cosa che ho visto fare, spesso anche; ma non è sempre domenica).
C'è chi si rode il fegato ( sì, sempre lì si va a parare) perché al suo posto in Canada ( per un viaggio a cui sono ammessi solo persone con x di media in y materie) andranno degli idioti ( ciao Sara!).
C'è chi è incazzato e basta, neanche avesse il mestruo perenne ( anche chi, teoricamente, non sarebbe "predisposto" a tale alterazione umorale\fisiologica).

Ma parliamo di me, in fondo questo è il mio blog.
Sei anni fa, prendo la mia bici, una mountain bike, inizio a pedalare.
Mi avvio verso il campo sportivo, vedo i vecchi amici sul lato opposto del perimetro irregolare di quella distesa desertica, accelero e taglio in diagonale.
In men che non si dica, sono arrivato all'angolo opposto anche perché tra gli antipodi ci sono meno di quaranta metri.
Saluto con una mano, perdo parte ( anche se per ora è irrilevante) della presa sul manubrio.
Sgommo ( sì, QUESTO lo ho fatto per fare il "figo"), secondo errore.
Distendo la gamba, un gesto istintivo per me, terzo errore.
Il piede tocca terra, fatalità.
Vengo sbalzato come da un toro impazzito, la gamba distesa ha contemporaneamente spostato il mio baricentro e non mi offre la possibilità di aggrovigliarmi alla canna e scivolare a terra, procurandomi una leggera umiliazione, ferite superficiali.
Così vengo sbalzato in aria ( Ricordate? Non posso più aggrapparmi al manubrio, non abbastanza forte) e la bicicletta continua ad avanzare.
Atterro sui corni, uno mi arriva tra due costole, non abbastanza forte da danneggiarle, ma mi provoca quella che mi hanno detto chiamarsi "insaccata", quando i polmoni si svuotano completamente d'aria e non riescono più a riempirsi, vedi pugno nello stomaco.
L'altro mi colpisce al ventre, centra il fegato, provoca una fuoriuscita di sangue, la quale diventa un ematoma di 8x10x8, il quale mi blocca in ospedale per 10 giorni, in attesa di un riassorbimento o di una veloce operazione, che non ci fu mai.
Ma alle volte ritornano...
Ma ora basta, fatevi un po' di cazzi vostri.



E così oggi sono seduto qua, sugli scalini della scuola.
Scrivo in differita.
Ho appena rivisto lei, lei che scriveva poesie, lei che ora mi evita, lei che non so se sono riuscito a smettere d'amare.
Sto finendo "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Calvino, ma qui tira un vento freddo, inizio ad arrancare e mi distraggo, metto il segnalibro e chiudo.
Frugo nelle tasche: sono nervoso, ho appena finito una versione di latino di cui mi fido poco, non trovo sigarette, non riesco a capire come una valutazione basata sulla capacità di contraffare e dissimulare possa portarti dritto dritto nel paese dalla foglia d'acero, qui ci sono solo due accendini, mi metto le mani nei capelli, senza una ragione particolare, un momento di empatica disperazione.

Un rumore, mi giro di scatto, non mi ero minimamente accorto dell'arrivo della figura al mio fianco.
Omar tira fuori dalla giacca un pacchetto di Pall Mall, ne prende una, allunga il braccio e dice:
-Sigaretta?




Per S.

sabato 26 novembre 2011

Il poema conclusivo di Minecraft

Questo post sarà inutile per tre motivi:

- È un copia- incolla dei crediti del videogioco Minecraft, quindi è un pesante spoiler.
- Sarà comprensibile a pochi ( chi conosce l'inglese e che possibilmente ha provato il capolavoro del Team Mojang).
- È anche un pretesto per avere un qualche spazio dove scrivere che ho scritto la terza lettera.

Ma mi giustificherò così:
- Ho dato ai volenterosi di conoscenza, la possibilità di cercarsi il significato di una nuova parola, ora che avete finito di spolpare OT.
- Non è mai stato un deterrente, inoltre posto ciò che segue più per me che per voi, per potermelo rileggere quando mi pare.
- Non riesco a fare a meno di dirlo.



I see the player you mean.
[Player Name]?
Yes. Take care. It has reached a higher level now. It can read our thoughts.
That doesn't matter. It thinks we are part of the game.
I like this player. It played well. It did not give up.
It is reading our thoughts as though they were words on a screen.
That is how it chooses to imagine many things, when it is deep in the dream of a game.
Words make a wonderful interface. Very flexible. And less terrifying than staring at the reality behind the screen.
They used to hear voices. Before players could read. Back in the days when those who did not play called the players witches, and warlocks. And players dreamed they flew through the air, on sticks powered by demons.
What did this player dream?
This player dreamed of sunlight and trees. Of fire and water. It dreamed it created. And it dreamed it destroyed. It dreamed it hunted, and was hunted. It dreamed of shelter.
Hah, the original interface. A million years old, and it still works. But what true structure did this player create, in the reality behind the screen?
It worked, with a million others, to sculpt a true world in a fold of the [scrambled], and created a [scrambled] for [scrambled], in the [scrambled].
It cannot read that thought.
No. It has not yet achieved the highest level. That, it must achieve in the long dream of life, not the short dream of a game.
Does it know that we love it? That the universe is kind?
Sometimes, through the noise of its thoughts, it hears the universe, yes.
But there are times it is sad, in the long dream. It creates worlds that have no summer, and it shivers under a black sun, and it takes its sad creation for reality.
To cure it of sorrow would destroy it. The sorrow is part of its own private task. We cannot interfere.
Sometimes when they are deep in dreams, I want to tell them, they are building true worlds in reality. Sometimes I want to tell them of their importance to the universe. Sometimes, when they have not made a true connection in a while, I want to help them to speak the word they fear.
It reads our thoughts.
Sometimes I do not care. Sometimes I wish to tell them, this world you take for truth is merely [scrambled] and [scrambled], I wish to tell them that they are [scrambled] in the [scrambled]. They see so little of reality, in their long dream.
And yet they play the game.
But it would be so easy to tell them...
Too strong for this dream. To tell them how to live is to prevent them living.
I will not tell the player how to live.
The player is growing restless.
I will tell the player a story.
But not the truth.
No. A story that contains the truth safely, in a cage of words. Not the naked truth that can burn over any distance.
Give it a body, again.
Yes. Player...
Use its name.
[Player Name]. Player of games.
Good.
Take a breath, now. Take another. Feel air in your lungs. Let your limbs return. Yes, move your fingers. Have a body again, under gravity, in air. Respawn in the long dream. There you are. Your body touching the universe again at every point, as though you were separate things. As though we were separate things.
Who are we? Once we were called the spirit of the mountain. Father sun, mother moon. Ancestral spirits, animal spirits. Jinn. Ghosts. The green man. Then gods, demons. Angels. Poltergeists. Aliens, extraterrestrials. Leptons, quarks. The words change. We do not change.
We are the universe. We are everything you think isn't you. You are looking at us now, through your skin and your eyes. And why does the universe touch your skin, and throw light on you? To see you, player. To know you. And to be known. I shall tell you a story.
Once upon a time, there was a player.
The player was you, [Player Name].
Sometimes it thought itself human, on the thin crust of a spinning globe of molten rock. The ball of molten rock circled a ball of blazing gas that was three hundred and thirty thousand times more massive than it. They were so far apart that light took eight minutes to cross the gap. The light was information from a star, and it could burn your skin from a hundred and fifty million kilometres away.
Sometimes the player dreamed it was a miner, on the surface of a world that was flat, and infinite. The sun was a square of white. The days were short; there was much to do; and death was a temporary inconvenience.
Sometimes the player dreamed it was lost in a story.
Sometimes the player dreamed it was other things, in other places. Sometimes these dreams were disturbing. Sometimes very beautiful indeed. Sometimes the player woke from one dream into another, then woke from that into a third.
Sometimes the player dreamed it watched words on a screen.
Let's go back.
The atoms of the player were scattered in the grass, in the rivers, in the air, in the ground. A woman gathered the atoms; she drank and ate and inhaled; and the woman assembled the player, in her body.
And the player awoke, from the warm, dark world of its mother's body, into the long dream.
And the player was a new story, never told before, written in letters of DNA. And the player was a new program, never run before, generated by a sourcecode a billion years old. And the player was a new human, never alive before, made from nothing but milk and love.
You are the player. The story. The program. The human. Made from nothing but milk and love.
Let's go further back.
The seven billion billion billion atoms of the player's body were created, long before this game, in the heart of a star. So the player, too, is information from a star. And the player moves through a story, which is a forest of information planted by a man called Julian, on a flat, infinite world created by a man called Markus, that exists inside a small, private world created by the player, who inhabits a universe created by...
Shush. Sometimes the player created a small, private world that was soft and warm and simple. Sometimes hard, and cold, and complicated. Sometimes it built a model of the universe in its head; flecks of energy, moving through vast empty spaces. Sometimes it called those flecks "electrons" and "protons".
Sometimes it called them "planets" and "stars".
Sometimes it believed it was in a universe that was made of energy that was made of offs and ons; zeros and ones; lines of code. Sometimes it believed it was playing a game. Sometimes it believed it was reading words on a screen.
You are the player, reading words...
Shush... Sometimes the player read lines of code on a screen. Decoded them into words; decoded words into meaning; decoded meaning into feelings, emotions, theories, ideas, and the player started to breathe faster and deeper and realised it was alive, it was alive, those thousand deaths had not been real, the player was alive
You. You. You are alive.
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the sunlight that came through the shuffling leaves of the summer trees
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the light that fell from the crisp night sky of winter, where a fleck of light in the corner of the player's eye might be a star a million times as massive as the sun, boiling its planets to plasma in order to be visible for a moment to the player, walking home at the far side of the universe, suddenly smelling food, almost at the familiar door, about to dream again
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the zeros and ones, through the electricity of the world, through the scrolling words on a screen at the end of a dream
and the universe said I love you
and the universe said you have played the game well
and the universe said everything you need is within you
and the universe said you are stronger than you know
and the universe said you are the daylight
and the universe said you are the night
and the universe said the darkness you fight is within you
and the universe said the light you seek is within you
and the universe said you are not alone
and the universe said you are not separate from every other thing
and the universe said you are the universe tasting itself, talking to itself, reading its own code
and the universe said I love you because you are love.
And the game was over and the player woke up from the dream. And the player began a new dream. And the player dreamed again, dreamed better. And the player was the universe. And the player was love.
You are the player.
Wake up.

Ringrazio Minecraft Wiki per il testo.
E Notch, per aver creato questa meraviglia.



domenica 20 novembre 2011

Una recensione ( che spero breve) a casaccio

Allora, ora farò una cosa che odio: vi dirò il "Perché".
Anzi ve ne dirò tre.

1. Quando ho letto il post dell'Orsa più splatter del web su Battle Royale e sulla competitività ho pensato a tre (oggi è il mio numero jolly) cose: che i film raramente sono belli come i manga da cui sono tratti, bello trovare un eccezione, che gli orientali sono capaci di gran cose con carta e penna e avrei potuto scriverne, che mi scappava la pipì.

2. Avrei dovuto scrivere questo post tre ( non scherzo) giorni fa, per vedere come faccio le recensioni e se ero dispersivo come il solito.
Mi sono dimenticato, ho scritto la mia recensione de "L'ultimo giorno di un condannato a morte" di Hugo per la scuola e chi si è visto si è visto.
Attendo la sentenza.

3.  Mi ero già riproposto di scrivere la recensione di questo manga una volta letto, perché mi è piaciuto e volevo vedere se sono capace di dire qualcosa a proposito senza scadere nella ridicola esaltazione come nel caso Vonnegut.



Death Note

scritto da Tsugumi Ohba e
 disegnato da Takeshi Obata


Death Note è diverso dal classico manga giapponese: niente robottoni giganti, onde energetiche e ninja.
C'è uno Shinigami ( dio della morte) che si annoia.
Passa tutta la sua esistenza a non far niente, ogni tanto scrive il nome di una persona sul suo quaderno, quella muore e lui aumenta la sua durata vitale di una quantità uguale a quella che l'essere umano avrebbe vissuto se il suo nome non fosse stato scritto.
Ci sono molti Shinigami nel mondo degli dei della morte, i quali passano il tempo giocando d'azzardo o bighellonando per ammazzare il tempo.
Ma Ryuk no, vuole svagarsi.
Così ruba un quaderno e lo getta nel mondo degli umani.
Passa qualche giorno, Ryuk è mandato a cercarlo sotto ordine del re degli Shinigami, il quale è ignaro del fatto che quello era proprio l'obbiettivo di quel tristo mietitore.
Light Yagami, un liceale, raccoglie il quaderno.
Dentro trova delle regole d'uso ( "La persona il cui nome sarà scritto qui morirà", "Perché il quaderno sortisca l'effetto desiderato, occorre avere in mente il volto della persona di cui si scrive il nome. In tal modo, si evita di colpire eventuali omonimi", "Se entro quaranta secondi dopo che è stato scritto il nome vengono indicate le cause della morte, questa verrà nella maniera stabilita", "Se la causa della morte non è specificata, le vittime designate moriranno tutte per arresto cardiaco", "Dopo aver indicato le cause della morte, si hanno a disposizione sei minuti e quaranta secondi per scrivere eventuali dettagli sulle condizioni della stessa"), ma pensa sia tutta una cavolata, alla stregua di una catena di Sant'Antonio.
Eppure la curiosità è tanta, ma su chi provarlo.
E se funzionasse? E se uccidesse un innocente?
Allora Light cerca una persona di cui possa sapere nome, volto, immediatamente se è vivo o morto e che la sua dipartita giovi al mondo.
Facendo zapping si imbatte nella notizia di un sequestratore pluriomicida che tiene in ostaggio dei bambini in un asilo nido, decide per questo "candidato", scrive il suo nome .
Passano quaranta secondi, l'uomo muore.

Così inizia il manga che si basa su tre (aridaje) pilastri fondamentali: la casualità, la logica e l'etica.



Fin dall'inizio nulla è premeditato: che Light raccolga il quaderno, che lui sia figlio del sovrintendente della questura di Tokyo, che sia un soggetto forte, in grado di sopportare ( anche se non del tutto) il rimorso di strappare vite umane, che sia convinto che uccidere i criminali, gli ignavi e chiunque faccia torto al prossimo senza essere punito, porti alla creazione di un mondo  migliore, è puro caso.



La logica è fondamentale: quando Kira ( il nome che i giornali usano per identificare il misterioso assasino di criminali) inizia ad uccidere, non rimane inosservato.
"L", un moderno Sherlock Holmes, viene incaricato dell'indagine e gli viene offerto il supporto delle forze del'ordine di mezzo mondo.
Così inizia una lotta psicologica, prima a distanza poi faccia a faccia, tra l'apparentemente innocente Light Yagami e tra lo strano detective, di cui nessuno ha mai visto il volto o conosce il vero nome ( poi chè parla sempre attraverso tramiti, come il personaggio di Watari) e quindi immune al quaderno della morte.
Il fulcro dell'azione sta proprio nei vari espedienti usati dai due, quelli del primo atti a scoprire l'identità di "L", quelli del secondo per ottenere prove concrete ( nessuno conosce gli Shinigami, figuriamoci i quaderni della morte) della colpevolezza di Light.



Ed infine l'etica: è giusto uccidere al fine di creare un mondo migliore? 
Questa è la domanda che viene proposta durante tutto il manga.
E si parte da una posizione di svantaggio, perché effettivamente sotto il "Regno di Kira", come lo chiamano le emittenti, il crimine, o per lo meno quello premeditato, quasi scompare.
Tant'è che intere nazioni, gli Stati Uniti per primi, si arrendono e fanno si che l'operato di Kira si legale e le indagini a suo carico vengono chiuse.
Allo stesso tempo però Light è un folle: non si fa problemi ad uccidere chi lo ostacola, innocenti per lo più, ed è pronto ad uccidere la sua stessa famiglia per raggiungere il suo fine.
Anche la figura di "L" non è una pura effige di bontà: usa mezzi tutt'altro che legali, ritiene chiunque sacrificabile, è pronto a provare il quaderno e divenire assassino lui stesso per provare la sua tesi.
O almeno così sembra.
Perché, se Light più volte sembra essere dalla parte degli indifesi, "L" lo è sempre.
Più volte questo manga ricorda come la giustizia non può essere omicidio, come anche che il fine non giustifica i mezzi, soprattutto quando è un fine effimero, un mondo che segue la "retta via" per paura, non per scelta.



In conclusione, consiglierei  a chiunque la lettura di questo manga, ma mi rendo conto che, sebbene sia composto da soli 12 volumi ( e dico "solo" per chi non sapesse che, in media, queste serie sono composte da quaranta\cinquanta tankobon, albi da circa duecento pagine), è una spesa piuttosto esosa, alla luce del fatto che l'ultima ristampa risale al 2006 (anche se forse adesso ne stanno facendo un'altra, ma non ne sono sicuro).
Esiste però un'anime ( cartone animato giapponese) fatto molto bene ( le musiche sono davvero epiche) e senza filler ( episodi di intermezzo che vengono disegnati e scritti da altri autori quando vene fatto un'anime in contemporanea con la serializzazione, come quando a Dragon Ball c'erano quei episodi stupidi dove Goku prendeva la patente, faceva una scampagnata, ecc.) che si può trovare in DVD ( o in streaming, tirchi).



Vorrei dire di più, accennare qualcosa della trama oppure mostrare in opera almeno uno dei tre pilastri, ma finirei per rovinare il gusto dell'attesa di coloro che volessero cimentarsi nella lettura\visione in quest'opera d'arte.

lunedì 14 novembre 2011

È successa una cosa

E che Democritico non me ne voglia.
Anche perché, in verità, il titolo l'ho copiato da una puntata della sit-com inglese "IT Crowd".

È appena finita la puntata settimanale di Fringe.
È una serie densa di messaggi, di morali, di frasi spettacolari.

"Tu sei ancora giovane, puoi permetterti di credere negli ideali. Io, invece, non posso che essere pragmatico"
Walter nativo all'agente Olivia Dunham, subito dopo aver condannato un universo alla distruzione. 

Da diciassette anni, questo Stato non è più una democrazia.
Da domani, inizierò a sperare in un'Italia migliore.
Ma oggi non mi riesce.
Oggi seguo il consiglio di un personaggio fittizio, guardo in faccia la realtà.
Ricordo che l'unico modo per non cambiare nulla è una continua mutazione: panta rei.
Guardo il nuovo governo Monti, vedo troppe facce già viste.
Penso alle elezioni, mi sembra di sentire un deja-vu, un senso di sfiducia mi attanaglia.
Gli errori si ripetono e a qualcuno il Nano faceva comodo.
A qualcun altro, faceva comodo una scelta facile e io non penso  che esista redenzione per le terze gazzelle.
Nessuna epifania.
Io non crederò neanche domani a questa cosa, non ce la faccio.
Si è fedeli solo a noi stessi, una volta semplificati fino all'osso, all'anima come altri la chiamano.
E tradirsi è scomodo, soprattutto quando è giusto farlo.
Ma forse mi sbaglio.

Ho appena iniziato a studiare Machiavelli, mi fa paura.
Strano, giurai di non aver mai timore delle parole e del pensiero, ma questo è il passato.
Mi hanno descritto quest'uomo in due modi:
1. Con una sottile satira, consegnò un libro che fingeva di aiutare il Principe, consegnando invece al popolo la chiave di comprensione dei piani della casta.
2. Un uomo distrutto, esiliato dalla patria, tenta di tutto per alleviare la sua pena, fino a che un giorno il ramoscello, a forza di piegarsi, si è spezzato. E ciò che ne uscito non erano schegge di legno, ma un manuale che sembra uscito da un film di serie Z, un libro che ha dato il potere di assoggettare ancora meglio le genti, un "Portale del Totalitarismo".
Non sapete quanto io vorrei credere nella prima immagine che ho visualizzato in mente.

E so quanto pomposo sembri tutto questo post, ma oggi ho la morte nell'anima, nessun ideale riscalda le mie membra.
E so anche che questa frase non fa che aggravare la mia posizione.

Eppure se oggi muoio, ieri sono rinato.
Anacronistico, non trovate?

"Berlusconi è un coglione, lo ammetto"
Mio padre.
Un berlusconiano convinto.
Ora non più così convinto.

So che non riuscirò mai a fargli cambiare idea politica, neanche gli sentirò mai dire "Avevo torto".
Un po' perché siamo testardi entrambi, a pari livello. 
Un po' perché questo figlio non riuscirà mai a convincere di qualcosa suo padre, siamo l'uno l'antitesi dell'altro.
Un po' perché le idee sono come i mattoncini del Jenga: una costruzione a torre traballante, togline una e crolla tutta.
Abbiamo troppa paura per farlo, per sbagliare.

Eppure ieri ho visto una breccia, che mi fa tremare oggi, ma che mi farà sperare domani.
Forse mi sbaglio e riusciremo a sostituire i mattoncini, un po' alla volta.
Senza troppa fretta.


Grazie Istruzioni per l'Ufo, per avermi fatto riflettere.
Grazie Cerex, per avermi spinto a leggerlo.

sabato 12 novembre 2011

Scurrile

Ho appena cagato il mio intestino crasso.
E questo è parte del problema.
Chiamiamolo Danno.
Non sono gratuito, cazzo, questo preambolo mi serve per arrivare al punto.
Il mio dottore mi inquieta.
Dopotutto è un uomo che può esordire con "Buongiorno" e concludere un discorso con "Non inizi un libro troppo lungo".
Ma questo medico con dotto è qualcosa di più.

-Salve.
-Salve Carta, qual è il problema?
-Mi ha rubato la battuta d'entrata; ma, a parte questo, ho febbre alta da un paio di giorni e problemi di stomaco.
-Mmm, bene...

Bene?!?!?
Io cago a spruzzo e scaldo l'etere come un termosifone e questo sarebbe un bene?

-Type type type.

Batte i tasti del portatile con una violenza tale che penso che da un momento all'altro succeda questo:


O a me o a lui.


Borbotta qualcosa, l'idiota, che potrebbe essere "Lei ha un cancro, con metastasi ovunque", ma anche "Vola vola l'Ape Maia".
Mi schiaccia vari punti del cranio, per vedere se ho la sinusite, per vedere se è vero che premendo determinate zone la testa di un uomo esplode.

-Fa male?
-Intende oltre al dolore che mi provoca un palmo di mano che mi trapassa lo stomaco?

Lo so, è inutile e stupido lamentarsi dei medici, fanno di tutto per curarti.
Almeno spero, porca vacca.
Perché da come mi guarda, le rare volte che distoglie l'attenzione dallo schermo del computer, mi squadra come farebbe un cattivo di James Bond.

Finisce di scrivere\fare una cazzo di partita di solitario, mi da una fottuta vaschetta.
In cui travasare quella parte di me da cui mi separo solitamente una volta al giorno.
In poche parole: dovrò cagare in un bidet...
E vaffanculo, non c'è un cazzo da ridere.
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
Ora, fermatevi un attimo a pensare, magari rileggete pure.
Indovinate quale parola ho adottato?
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)

Avete sbagliato tutti, la parola che ho scelto è vulcaniano






P.s.: Questo post è stato scritto durante un delirio febbricitante, causato in parte anche dal fatto che blogger è andato a puttane ( niente video, niente formato di scrittura, niente cappuccino con brioches e sigaretta a fine post) , regolatevi di conseguenza...



Lunga vita e prosperità

sabato 5 novembre 2011

Bah!

Oggi volevo scrivere.
Magari una nuova lettera.
Non sono arrivato.
Ho perso tempo a fare altro, tra cui contorcermi per i crampi allo stomaco, causati da chi sa cosa.
Forse non reggo più il gelato al gusto puffo come un tempo.
Però volevo farvi vedere questo:


Così, tanto per...

mercoledì 2 novembre 2011

Etichette

Non amo le persone fatte con gli stampi, anche se inevitabilmente pure io sono una di queste.
Perché abbiamo creato uno stampo per tutti e tutto.
Io sono il tizio che se ne sta in disparte, che non si interessa particolarmente di sport, strano e con un umorismo tutto suo.
Sono un tipo malinconico, uno di quelli che si mette a suonare per strada, uno senza peli sulla lingua.
Sono uno stronzo, un lupo affamato, un cane rabbioso, un cucciolo falso, una volpe poco scaltra, una talpa cieca.
Qualcuno mi da del pinguino.


Davvero assomiglierei a quell'umano?
Avrete notizie dai miei avvocati!

Sembro uno che sa molto, che non si vanta, un prete che cammina con il breviario in mano, un'idiota, un barbone alcolizzato.
Assomiglio a mio padre per carattere, a mia madre per le mani e per gli occhi, a mio zio per il resto del volto, a mio nonno per l'altezza ( per la mia famiglia un metro e settanta sono un evento raro), a mia nonna per la parlantina.
Tutte cose che mi sono state dette nel corso degli anni.
Quindi, sono un essere in funzione degli altri, di quello che pensano di me.
Eppure...
Com'è che non è così?
Non riesco ad arrendermi a questo, credo ancora di essere io a plasmarmi, in virtù del libero arbitrio.
Ma esiste davvero, il libero arbitrio?
Non sono condizionato da tutto ciò che ho fatto, vissuto, letto, parlato, studiato, mangiato, bevuto e respirato, quando compio un'azione?
Ho paura di questo.
E, ripensandoci rido di questo.
Sono arrivato a scrivere di ciò pensando: io odio chi etichetta gli esseri umani, le etichette vanno bene per i prodotti al supermercato, per sapere se sto per bere H2O o HCl.
Io stesso ho "scoperto" una di queste categorie: scrittori e non.

-Ehi Carta, mi puoi passare gli appunti di storia dell'arte?
-Quali appunti?
-Dai, non fare l'idiota, hai scritto tutta l'ora!
-Non stavo prendendo appunti...
-E che scrivevi allora?
-Ciò che mi passava per la testa...


La reazione.
Ok, tralasciate i troll.
Oppure guardatevi Troll 2 un Filmbrutto come pochi.

La voce si sparge, un paio di persone vengono a chiedermi:
-Cosa scrivi?
-Di tutto. Se voglio scrivere di un clown che si risveglia in un campo minato o di un bambino in triciclo ( e no, non era MaiMaturo, anche se...) che prende una multa, lo faccio.

-Perché scrivi?
-Bisogna che ci sia un perché per tutto?
-Sì
-Allora lascio a voi il compito di trovarlo.
Scusa Vonnegut se continuo a fregarti frasi, per giunta tutte da Ghiaccio Nove.

Uno è arrivato a domandarmi se:
-Non scriverai cose contro la società?

Per un momento mi sono chiesto se per caso ero caduto in buco dimensionale, che mi aveva trasportato in un libro di Orwell.
Mi capita di farmi queste domande quando la psicopolizia viene a farmi toc-toc.
Riconquistata la realtà, decisi di rispondere nel modo più cordiale possibile.
-Ma che cazzo di domanda è?
Giuro che ci ho provato.

Un vecchio amico, l'unico, tra parentesi, interessato a cosa scrivo e non al fatto che io scrivo, mi chiese:

-Ma dopo che tene fai? Le metti su un sito, non sto dicendo che ne valga la pena, beninteso, o le lasci ad ammuffire?
-Grazie, vedo che non sei migliorato nei complimenti da quella volta della vetrata.
-Non c'è di che, rompi meno il cazzo e rispondi...
-Credo che dovrei smettere di definirti come un amico. Stronzate a parte, le uso per accendere il fornello di casa.

Ed è vero, quindi non aspettatevi di vedere mai le storie di cui ho parlato sopra.
Anche perché sono incipit che mi sono inventato adesso.

Si parlava di libero arbitrio, no?
E in questo racconto, dov'è?
La fantasia e il fornello, forse sono le prove della sua esistenza.

Un breve haiku, per chi non ha voglia di leggersi tutta la pappardella, per chi crede nel essenza:

私はこれを書いています
おそらく彼らだけではありません

Io scrivendo ciò
forse non sono solo
sabbia nel vento.

(Grazie Google Traduttore)