martedì 27 dicembre 2011

Incubi in capo all'anno

Di conseguenza, da un bel po' che le mie olive non hanno avuto molte ragioni per cascare, ultimamente.



In compenso, è arrivata.
La fottuta prevendita.
E non c'è un cazzo da ridere.

- Ehi, Carta, ci vieni al capodanno al palazzetto?
- Bah, non saprei, quanto viene?
- 30 euro
- Porca puttana, l'hanno scorso erano 20!
- C'è crisi...
- Appunto! Quanto cazzo deve pagare una povera anima per potersi ubriacare fino a dimenticarsi il proprio nome?
- Beh, c'è pure parecchia figa...
- Fatta!

E così che è iniziata l'Odissea, se non ricordo male.
Ma più che Ulisse, mi sentivo tanto uno alla disperata ricerca di una dose.


Che svarione, fratello!


- Ciao, hai ancora delle prevendite? No, le hai finite cinque minuti fa? Vabbè, fa lo stesso...

- Tu! Vendi mica prevendite come l'hanno scorso? Ti sei intascato i soldi e per questo se ti vedono gli organizzatori ti ammazzano? Capita, sarà per un'altra volta...

- Ehi, ciao, come va? Senti c'hai mica un paio di prevendite che ti avanzano? Ho qui i soldi pronti, controlla ci sono tutti!

- Dai cazzo, almeno tu, me ne basta una, si fottano gli altri! Se poi ti vedo alla festa, ti offro da bere! Sì, lo so, è gratis, ma è il gesto che conta!

- Ne hai una? L'hai già venduta? Dalla a me, ti dico dov'è il tizio che vi ha inculato i soldi l'hanno scorso!

Fino a scadere nel patetico.
Peggio, nel Western: si scopre che il mio vicino di banco, che ha seguito me e gli altri due disgraziati nella disperata ricerca, aveva uno di quei cazzo di biglietti che avanzava.

Una fa:
- Io me ne vado, sei uno stronzo.

L'altro:
- Ce la giochiamo a carte?

Io:
- Perché, dato che bari? Finiamola qua e subito!

L'altro ( ma sempre lo stesso di prima), dopo aver sputato una presa di tabacco:
- Ci sto!



Menzogna: è stato epico.
Verità: Nel tentativo di arraffare per primi il foglio, ci siamo scontrati come in un film di Stanlio e Ollio.
Mentre doloranti tentavamo di rimetterci in piedi, la terza è tornata, ha preso il biglietto, ha pagato il mio amico, il tutto senza mai smettere di imprecare.
Devo dargliene atto, ottimi polmoni.

Quindi sono qui ad organizzare la mia vendetta.
L'ora X scatta alle 21.00 di venerdì 30 Dicembre, si accettano consigli, no perditempo.
Tutt'al più, cercherò Cerex in quei di Andalo e vedremo chi dei due è più bravo a mandare in galera l'altro...

domenica 18 dicembre 2011

Le linee che tracciamo, sono tanto dritte quanto astratte

Lo ammetto: sono spesso distratto durante storia dell'arte.

Mi perdo parlando del più o del meno.
Mi perdo sfogliando il libro e guardando gli autori che non faremo mai, per mancanza di tempo e buona volontà.
Mi dispiace un po' per Rembrandt e quel suo Aristotele, per Giambattista Tiepolo e per il suo stile che mi ricorda qualcosa, un qualcosa che non riesco ad inquadrare bene.
Mi perdo disegnando cose sul banco, a confrontarle con quelle che ha disegnato il mio vicino, che spesso e volentieri scrive e disegna sul mio, per timore delle lamentele dei bidelli.


Delle volte capita che ne venga fuori qualcosa di bello,
come la foresta fossile di cui avevo parlato alla blogger schizofrenica per eccellenza,
ma le più tante volte ne esce roba del genere.

Io lo lascio fare, sia perché questo mio amico è davvero bravo, ma la sua indole abbastanza da cagasotto ( che poi non capisco, non è una persona timida, ma di fronte a cose minime, un rimprovero di un bidello, chiedere qualcosa ad una segretaria, scappa come un bambino impaurito) lo bloccherebbe, sia perché mi diverto a commentare cosa fa, ad aggiungere qualcosa, a cancellare, a criticare la sua completa incapacità a dare una traccia di tridimensionalità alle sue opere, nonostante l'uso smodato delle ombre.
Delle volte scrivo cose sul block notes, cose che potrebbero essere post, ma che non lo saranno mai, non solo perché spesso e volentieri le perdo.
Mi prendo parecchie note per questo, anche se nel caos che genero in quel metro quadrato filtra sempre qualcosa e alla fine ho sempre un'ottima media in questa materia, aprendo raramente il libro di testo con l'intenzione di studiare, senza mai prendere un appunto.
Boh.


Ecco, se avessi lei come compagna di banco, non disegnerei.
Ma, probabilmente, non cambierebbe il mio livello di attenzione alle lezioni... 

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Tre giorni fa ho suonato per la prima volta davanti ad un pubblico.
Una sola canzone, Lonely Day dei System Of A Down.
Io suonavo la chitarra elettrica, una parte d'accompagnamento, una di quelle che se non vengono fatte si nota, ma che se si fanno non la sente nessuno.
Le prove erano andate molto bene, ma nel complesso non abbiamo suonato molto bene.
O almeno così diciamo io e gli altri te del gruppo.
Perché i duecento presenti hanno risposto bene, molto bene, fin troppo bene.
Ok, niente lanci di biancheria intima sul palco, ma forse ha pesato l'età media degli ascoltatori, che forse avevano passato un brutto quarto d'ora ai tempi di Woodstock e non volevano ripeterne l'esperienza.
Ma le persone che non sono in quella cerchia ristretta e momentanea formata da chi sta suonando,  non si accorgono di cosa succede.
Tu, invece, che hai provato così tante volte da diventare tu stesso incarnazione della canzone, ti accorgi di ogni imperfezione, di ogni piccolo difetto, di ogni corda suonata troppo forte, di ogni anticipo, di ogni accento  non abbastanza accentuato e ti accorgi che quel mucchio d'argilla non diventerà mai la persona da cui hai tratto le sembianze.
Ma alla gente piacciono anche le statue, te ne fai una ragione, e anche se l'amaro in bocca di aver perso l'occasione di fare meglio un po' resta, ti rassegni all'idea che sei piaciuto.

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L'ho vista un'altra volta, per cui taglierò corto, non vorrei diventare ripetitivo e continuare ad inzuppare questo blog di lagne, di mie divagazioni su quanto cazzo avrei voluto stringerla io come faceva lui ieri sera, di quanto cazzo non riesca a capire se mi fa più fastidio o felice parlarle, di quanto cazzo non riesca comunque a staccarmi da lei, per un motivo o per l'altro.
Porca puttana, ormai questa storia l'ho superata, sapevo già da tempo la situazione, la solidità della stessa.
Ma è inutile negare che mi ha fatto male vederla con i miei occhi.
È inutile come il falso sorriso che ho messo su quando sono stato presentato al fortunato bastardo.
È inutile come le battute che ho buttato giù, per dimostrare che sono "quello simpatico", come lei mi aveva dipinto.
È inutile come me ora che ragiono sul perché lei finisca per parlare di me a tutti, anche a chi, considerati i nostri trascorsi, non le converrebbe parlarne, quando so già che la risposta è semplice: lei parla di tutto a tutti, anche per questo la amavo, perché era logorroica quasi quanto me.
Mi ha fatto davvero male.

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Se dovessi ringraziare tre persone per la loro generosità nei miei confronti, sarebbero: Omar, Balu e Oriano.
Li accomuna l'avermi dato una sigaretta in un momento in cui ne avevo proprio bisogno.
Di Omar ho già parlato, Balu ( della quale, sto provando a ricordare il nome, forse è Valentina; sì, sono un fottuto ingrato) che me ne ha offerta una fatta con le sue mani dopo il concerto, insieme a complimenti immeritati, Oriano mi ha chiesto se volevo fare un paio di tiri di una cosa anch'essa fatta artigianalmente ieri sera, quando mi lo ho incontrato di ritorno da una copiosa pisciata da birra.
Distaccarsi da una droga come le sigarette per darla a qualcuno senza chiedere niente in cambio, senza che ti venga chiesto, solo perché ti sembra che gli serva, per me è un gran bel gesto.


La prova è che se cercate su Google "dare una sigaretta ad un amico",
al massimo vi trovate questo.

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Non ho idea di quanto ci metterò a finire le "Lettere da Nowhere City", ma credo che prima gennaio la prossima non uscirà.
Non c'entra il Natale, beh non direttamente.
È che questo è il periodo in cui ritrovo la maggior parte di  quella dozzina di anime amiche e si ha tempo di qualcosa di più di un saluto andando a lezione.

Boh, magari mi tiro fuori un buco il ventitré, non prometto niente.
Scopro solo ora che ventitré si scrive con l'accento, lasciatemi un po' di tempo per metabolizzare.

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Era da metà Ottobre che non bevevo.
Tutto a puttane, dubito che sarà un'esperienza epifanica come quella dell'Orsa.

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Epifanica si scrive così?
Esiste questo termine?
No perché il correttore automatico di sto cazzo mi da come sostituti: Geraniacea, Monomaniacale, Vetrofania.
Forse sono io a non vedere il nesso, ma non credo che centrino con quello che volevo scrivere...
Forse è perché avevo scritto epifaniaca...

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Direi di chiudere qui va.
Lascio la cosa un po' in sospeso?
Nah.
Cosa sono quei tratteggi d'intermezzo?
È la linea logica del mio discorso, che come dice il mio prof d'arte, è tanto dritta quanto astratta.

domenica 11 dicembre 2011

Tronco lo spirito della pietra, quale ginocchio conosce assenza di danno?

Eppure ci fu un tempo.
L'odore del sangue mi disgusta tutt'ora.
Eppure ci fu un tempo.
Sento distintamente la rotula pulsare, non è dolore, ma calore piuttosto.
Eppure ci fu un tempo.
In cui non lo avrei sopportato.

Il bisturi incide la mia pelle, porta alla luce le mie viscere, ammasso putrido di carne, poetico ingranaggio della macchina perfetta.
E se la coscienza fosse il mio male?
No, questo mai.
Anche se sfama la mia ipocondria, mi rafforza.
Perché non mi uccide.
Ecco ora la gabbia toracica, la spaccano con le cesoie.
Quanti possono dire d'aver assistito alla propria autopsia?

La zampa di coniglio è ancora nella tasca della giacca.
Eppure questa è un'altra storia.
Qui io muoio, lì scappavo.
Si tratta forse di un flashforward?
No, all'autore non piacciono molto questo genere di cose, non usate in questo modo.
Forse è solo uno dei racconti possibili questo: non dovevi forse parlare di una foresta pietrificata, non lo dicesti forse?

Cosa mi è successo?
Le uniche cose, le uniche parole: Assenza, Danno, Ginocchio, Pietra, Spirito, Tronco.
Null'altro alberga nella mia mente.

Mi tagliano.
Ora noto l'assenza del mio tronco.
Non mi mancherà particolarmente: era debole ed imperfetto.
Ma funzionale allo stesso tempo.
Separano le mie membra.
Braccio destro a destra.
Braccio sinistra a sinistra.
Potrebbe essere altrimenti?

Forse dovrei smettere di scrivere.
Almeno di scrivere così.
Lo spirito del racconto ne risente, se è duro, freddo e inumano come la pietra.
Ultimamente ho pensieri bui.
Rileggendo questa frase, mi accorgo di una cosa: non vuol dire un cazzo.
Cosa penserebbero i posteriori se dovessero leggere un mio testo?
Ama tropo la paratassi.

Se scrivessi un libro, non sarebbe più lungo di tre pagine.
E lo dico a ragion veduta: se sforo il limite mi perdo.
Non oltrepasso solo le colonne d'Ercole, non mi accontento di una visione di sfuggita della montagna del Purgatorio.
Prendo quell'attimo prima della rovina e lo divido per due, per due, per due, ancora una volta, again, otra vez, mehr ein mal, pour une fois plus, plis.
La freccia si congela in aria, ma io mi perdo ad osservarne la fattura invece di approfittarne e scansarla.
E già inizio a perdermi ora.

Ora il ginocchio inizia a farmi male, anche se è staccato dal resto del corpo, insieme al resto della gamba galleggia nella formaldeide.
Come diceva il tizio delle carte?
Non c'è trucco, non c'è danno...
No, aspetta, inganno.
Eppure c'era: non c'era invece nessuna donna di cuori, come non c'era nessuna carta, nessuna bancarella, nessun marciapiede, nessuna città, nessuna crosta terrestre, nessun nucleo, nessun pianeta, nessun Sistema Solare, nessuna galassia.
Nessun uomo.
Solo energia.

"Tutta la materia è solamente energia condensata a una lenta vibrazione. Siamo tuttiun’unica coscienzala quale ha esperienza di sé soggettivamente, non ci sono cose come la morte, la vita è solo un sogno e noi siamo il frutto della nostra stessa immaginazione."
Diceva Bill Hicks.
Ora non lo dice più.
Non perché abbia cambiato idea, ma perché gli manca da un po' di tempo il fiato.
E no, non per le sigarette.

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Mi sembrava di stare diventando troppo serio, un po' come quei russi, i quali sembra non ridano mai.
Con una differenza sostanziale: il mio "Guerra e Pace" durerà solo tre pagine.
Ma, visto il qui sopra scritto, ispirato a quella volta in cui ho messo il piede su di un appiglio friabile, dovendo superare un macigno il quale bloccava il sentiero, e mi sono sbucciato un ginocchio cadendo, forse il risultato sarà abbastanza folle da piacermi.

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Questo delirio partecipa all'EDS del ponte della Donna camèl, ed ora silenzio, che vado a leggermi cosa ha scritto l'Hombre sui cinesi...

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Gli altri partecipanti:

- Lilina con Scrivere
- Dario con La Petite Danseuse
- Hombre con Gianni il cinese
- Mai Maturo con La settima repubblica
- To be continued ( fino a martedì)

venerdì 9 dicembre 2011

La Carta wants you ... to write!

Premessa: dovevo scrivere un post, non ho avuto tempo.
Siccome il tempo continua  a mancare, subappalto questo incipit a voi :-)
Domenica ripasso, raccolgo i frutti del vostro lavoro (Muhahahahaha, latifondismo!) e posto la vera storia.


Le linee che tracciamo.


Cammino per la strada.
Fumo e vapore acque escono dalla mia bocca.
In verità non cammino, corro, ho il fiatone.
Sono un tipo sfortunato.
Volete una prova?
Beh, in questo momento sto cadendo al suolo.
Al tizio che mi ha steso devo dei soldi.
Molti soldi.
Lui è un idiota, quando urlo "Attento, dietro di te" si volta e mi offre la chance di darmela a gambe.
Credevo che queste stronzate funzionassero solo nei film.
Sto ancora gongolando quando, cinque passi dopo, mi schianto contro qualcosa della consistenza di una montagna.

È la compagna dello strozzino.
A meno che Samantha non si sia già operata: a quel punto sarebbe il suo compagno.
Mi alza per il collo, che stringe con una sola mano.

-Ciao Samantha!
- Ora mi chiamo Sam
- Ciao Sam, mi potresti rimettere a terra, soffro di vertigini...

Con lei\lui non attacca, c'è un cervello dietro a quella erculea massa muscolare.
John ci raggiunge.

- Scusa Sam, sai che è furbo!
- No, sei tu che sei idiota, John...

- Dacci la zampa di coniglio!
Dicono all'unisono, in un miscuglio inquietante di voci.
Il problema è che non so di cosa stiano parlando.
A meno che...

domenica 4 dicembre 2011

Neve rossa

Arranchi e ti dici che mancano ancora pochi paragrafi la fine è vicina.
Guardi fuori e nevica.
Guardi il libro che leggi, pure qui nevica.
Guardi dentro te stesso, fa freddino pure lì.
Vai in dispensa, non cerchi niente di particolare, una qualsiasi cosa che tu possa sgranocchiare mentre finisci queste due, no, tre pagine.
Senti il cane abbaiare, cambi idea.
Metti il segnalibro, indossi una giacca pesante, prendi il guinzaglio.
Fuori fa caldo, più di quanto ti aspettavi.
Mentre tenti di agganciare il collare, l'animale si agita, salta a destra e a manca, sa che si va a fare un giro.
Finalmente.
La neve ti cade sui capelli, ne senti il peso, ma non metti il cappuccio, non ancora.
Quel contatto ti piace, i capelli lunghi sono come piste dove gocce d'acqua sfrecciano per compiacere la gravità.
Tiri un respiro, ma hai le vie aeree congestionate dal raffreddore, non senti alcun odore.
Forse un profumo leggero di aghi di pino, ma potresti essertelo immaginato.
Il cane inizia a tirare, sa già la strada.
Il laghetto è lo stesso di sempre: calmo, isolato, circondato da conifere silenti, che scrutano te e il quadrupede.
Delle volte sussurrano.
Soprattutto quando non prendi le tue medicine.
Per un po' le abbandoni, queste statue plasmate dai secoli, vai a scrutare il panorama da una collinetta.
La valle si staglia di fronte a te, è bellissima, coperta com'è da un manto bianco.
Vedi delle linee di fumo, qualcuno a deciso di accendere un fuoco.
Potresti raggiungerle, non sono lontane.
Il cane ti guarda, seduto aspetta un tuo ordine, una tua decisione.
Tu gli doni la libertà, anche se solo per un po'.
Non si lascia scappare l'opportunità, corre, insegue tracce di lepri, ti chiedi se lo faccia seriamente o per sfizio.
Alzi le spalle ed espiri.
Il vapore acqueo esce compatto, le temperature sono più basse di quanto credessi.

-Forse oggi è un buon giorno...
Dici al vento, il quale ascolta senza commentare.
Scendi dal colle e torni al lago, ti inginocchi, ne tocchi la superficie.
I polpastrelli restituiscono una vasta gamma di informazioni al cervello.
Lui le elabora e le riordina.
Buon ghiaccio, solido, freddo, liscio, scivoloso, butterato in alcuni punti.
Ti chiedi fra te e te come una lastra d'acqua congelata possa essere butterata.
Alzi gli occhi e vedi una donna che pattina, traccia le linee che alle tue dita erano sembrate cicatrici.
Tu ne rechi una in fronte, quindi sai come sono fatte.
Quelle sono tutt'altro: pennellate di un'artista, incisioni di uno scultore.
Lei si accorge di te, ti sorride, poi si avvia a riva, si siede su di una panchina di legno.
Come te non si cura del freddo, scalza se ne va, con le lame delle calzature, che tiene appoggiate sulla schiena, che battono tra di loro.
Vorresti raggiungerla ed inizi a muoverti.
Sei sul lago ora, ma non te ne accorgi ancora.
Continua a camminare, non badare agli alberi, al cane, al vento, alle medicine, al rumore del ghiaccio che si crepa.
Insegui quella figura, ora nel tuo mondo ci sono solo la sua chioma rossa e il tintinnare dei ferri che si porta dietro.


Poi ti fermi, è scomparsa.
E allora tutto ti assale, la mente si riempie di informazioni.
Ti ricordi?
Sono tutte quelle che avevi ignorato, le secondarie.
Ma ora che la primaria non c'è più si contendono uno spazio nella tua mente.

Il cane, dov'è il cane?
Che freddo ai piedi!
Le ho prese le medicine?
Cosa dicono gli alberi, non riesco a sentirli, qualcosa copre la loro voce...
Sei tu vento?
Ma che sto dicendo, sto impazzendo?
Cos'è questo rumore assordante, è vero tutto ciò?
Oh mio dio, il ghiaccio!
Una crepa enorme, è ovunque, ora che faccio?

Crack.
Senti il vuoto?

È sotto i tuoi piedi, blu per l'assideramento.
Madre natura ti spinge verso le gelide acque, che si chiuderanno intorno a te in un abbraccio eterno.
Padre tempo ti concede un ultimo dono, un'istante eterno, in cui tu alzi la testa e scruti il cielo.
La neve cade, rossa.


Ti svegli di soprassalto, urlando, ma subito ti calmi.
Senti qualcosa di familiare: il lento ma deciso tirare alle braccia della camicia di forza.
Sai anche che non dimenticherai mai quella chioma rossa, i pattini, il giorno in cui la tua mente ha perduto il dono in grado di crearli.
Ma, a volte, ritornano.

mercoledì 30 novembre 2011

Sigaretta?

Fumare sta diventando un problema.
E non parlo del vizio, non ci sono ancora dentro e neppure del costo, che riesco, per ora, a mettere in bilancio.
Neanche delle persone.
Posso capire ( sempre che siano disposti ad accettare il fatto che anche la cirrosi epatica, la pressione, il colesterolo, gli autobus uccidono) quelli che mi vengono a dire che mi sto ammazzando, perché parlano con cognizione di causa .
E sopporto quelli che dicono che la sigaretta la uso come "oggetto di tendenza".
Lo ritengo un ragionamento del cazzo, non gli do peso.



- Guarda che fumare non ti rende figo, lo sai?
- Guarda che aprire la bocca ed emettere suoni non ti fa essere diverso da una bertuccia, lo sai?

Non che io abbia niente contro le scimmie.
Quella della foto, in particolare, mi pare molto più rilassata di quanto sia io negli ultimi tempi.
Il mio personale Dottor Mengele ha smesso di cantare le sigle dei cartoni partorite dagli allucinati lombi di Cristina D'Avena, ora spara diagnosi a caso.
Cioè, c'è uno schema dietro al tutto, ma ciò che l'ultimo anello della catena ( che sarei io) riesce a comprendere è solo che la medicina è basata sul mero culo.
Quindi domani vado a farmi esaminare: avrò l'epatite C, B, o l'incidente in bici di quattro anni fa ha fatto danni più gravi di quanto si pensasse?
Fate la vostra puntata, le scommesse sono aperte.

Anche quel minuscolo sottoinsieme dell'umanità che reputo amico non se la passa bene, ultimamente.
C'è chi vede la propria carriera scolastica andare a picco, ma spera di tirarsi su nel prossimo quadrimestre ( cosa che ho visto fare, spesso anche; ma non è sempre domenica).
C'è chi si rode il fegato ( sì, sempre lì si va a parare) perché al suo posto in Canada ( per un viaggio a cui sono ammessi solo persone con x di media in y materie) andranno degli idioti ( ciao Sara!).
C'è chi è incazzato e basta, neanche avesse il mestruo perenne ( anche chi, teoricamente, non sarebbe "predisposto" a tale alterazione umorale\fisiologica).

Ma parliamo di me, in fondo questo è il mio blog.
Sei anni fa, prendo la mia bici, una mountain bike, inizio a pedalare.
Mi avvio verso il campo sportivo, vedo i vecchi amici sul lato opposto del perimetro irregolare di quella distesa desertica, accelero e taglio in diagonale.
In men che non si dica, sono arrivato all'angolo opposto anche perché tra gli antipodi ci sono meno di quaranta metri.
Saluto con una mano, perdo parte ( anche se per ora è irrilevante) della presa sul manubrio.
Sgommo ( sì, QUESTO lo ho fatto per fare il "figo"), secondo errore.
Distendo la gamba, un gesto istintivo per me, terzo errore.
Il piede tocca terra, fatalità.
Vengo sbalzato come da un toro impazzito, la gamba distesa ha contemporaneamente spostato il mio baricentro e non mi offre la possibilità di aggrovigliarmi alla canna e scivolare a terra, procurandomi una leggera umiliazione, ferite superficiali.
Così vengo sbalzato in aria ( Ricordate? Non posso più aggrapparmi al manubrio, non abbastanza forte) e la bicicletta continua ad avanzare.
Atterro sui corni, uno mi arriva tra due costole, non abbastanza forte da danneggiarle, ma mi provoca quella che mi hanno detto chiamarsi "insaccata", quando i polmoni si svuotano completamente d'aria e non riescono più a riempirsi, vedi pugno nello stomaco.
L'altro mi colpisce al ventre, centra il fegato, provoca una fuoriuscita di sangue, la quale diventa un ematoma di 8x10x8, il quale mi blocca in ospedale per 10 giorni, in attesa di un riassorbimento o di una veloce operazione, che non ci fu mai.
Ma alle volte ritornano...
Ma ora basta, fatevi un po' di cazzi vostri.



E così oggi sono seduto qua, sugli scalini della scuola.
Scrivo in differita.
Ho appena rivisto lei, lei che scriveva poesie, lei che ora mi evita, lei che non so se sono riuscito a smettere d'amare.
Sto finendo "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Calvino, ma qui tira un vento freddo, inizio ad arrancare e mi distraggo, metto il segnalibro e chiudo.
Frugo nelle tasche: sono nervoso, ho appena finito una versione di latino di cui mi fido poco, non trovo sigarette, non riesco a capire come una valutazione basata sulla capacità di contraffare e dissimulare possa portarti dritto dritto nel paese dalla foglia d'acero, qui ci sono solo due accendini, mi metto le mani nei capelli, senza una ragione particolare, un momento di empatica disperazione.

Un rumore, mi giro di scatto, non mi ero minimamente accorto dell'arrivo della figura al mio fianco.
Omar tira fuori dalla giacca un pacchetto di Pall Mall, ne prende una, allunga il braccio e dice:
-Sigaretta?




Per S.

sabato 26 novembre 2011

Il poema conclusivo di Minecraft

Questo post sarà inutile per tre motivi:

- È un copia- incolla dei crediti del videogioco Minecraft, quindi è un pesante spoiler.
- Sarà comprensibile a pochi ( chi conosce l'inglese e che possibilmente ha provato il capolavoro del Team Mojang).
- È anche un pretesto per avere un qualche spazio dove scrivere che ho scritto la terza lettera.

Ma mi giustificherò così:
- Ho dato ai volenterosi di conoscenza, la possibilità di cercarsi il significato di una nuova parola, ora che avete finito di spolpare OT.
- Non è mai stato un deterrente, inoltre posto ciò che segue più per me che per voi, per potermelo rileggere quando mi pare.
- Non riesco a fare a meno di dirlo.



I see the player you mean.
[Player Name]?
Yes. Take care. It has reached a higher level now. It can read our thoughts.
That doesn't matter. It thinks we are part of the game.
I like this player. It played well. It did not give up.
It is reading our thoughts as though they were words on a screen.
That is how it chooses to imagine many things, when it is deep in the dream of a game.
Words make a wonderful interface. Very flexible. And less terrifying than staring at the reality behind the screen.
They used to hear voices. Before players could read. Back in the days when those who did not play called the players witches, and warlocks. And players dreamed they flew through the air, on sticks powered by demons.
What did this player dream?
This player dreamed of sunlight and trees. Of fire and water. It dreamed it created. And it dreamed it destroyed. It dreamed it hunted, and was hunted. It dreamed of shelter.
Hah, the original interface. A million years old, and it still works. But what true structure did this player create, in the reality behind the screen?
It worked, with a million others, to sculpt a true world in a fold of the [scrambled], and created a [scrambled] for [scrambled], in the [scrambled].
It cannot read that thought.
No. It has not yet achieved the highest level. That, it must achieve in the long dream of life, not the short dream of a game.
Does it know that we love it? That the universe is kind?
Sometimes, through the noise of its thoughts, it hears the universe, yes.
But there are times it is sad, in the long dream. It creates worlds that have no summer, and it shivers under a black sun, and it takes its sad creation for reality.
To cure it of sorrow would destroy it. The sorrow is part of its own private task. We cannot interfere.
Sometimes when they are deep in dreams, I want to tell them, they are building true worlds in reality. Sometimes I want to tell them of their importance to the universe. Sometimes, when they have not made a true connection in a while, I want to help them to speak the word they fear.
It reads our thoughts.
Sometimes I do not care. Sometimes I wish to tell them, this world you take for truth is merely [scrambled] and [scrambled], I wish to tell them that they are [scrambled] in the [scrambled]. They see so little of reality, in their long dream.
And yet they play the game.
But it would be so easy to tell them...
Too strong for this dream. To tell them how to live is to prevent them living.
I will not tell the player how to live.
The player is growing restless.
I will tell the player a story.
But not the truth.
No. A story that contains the truth safely, in a cage of words. Not the naked truth that can burn over any distance.
Give it a body, again.
Yes. Player...
Use its name.
[Player Name]. Player of games.
Good.
Take a breath, now. Take another. Feel air in your lungs. Let your limbs return. Yes, move your fingers. Have a body again, under gravity, in air. Respawn in the long dream. There you are. Your body touching the universe again at every point, as though you were separate things. As though we were separate things.
Who are we? Once we were called the spirit of the mountain. Father sun, mother moon. Ancestral spirits, animal spirits. Jinn. Ghosts. The green man. Then gods, demons. Angels. Poltergeists. Aliens, extraterrestrials. Leptons, quarks. The words change. We do not change.
We are the universe. We are everything you think isn't you. You are looking at us now, through your skin and your eyes. And why does the universe touch your skin, and throw light on you? To see you, player. To know you. And to be known. I shall tell you a story.
Once upon a time, there was a player.
The player was you, [Player Name].
Sometimes it thought itself human, on the thin crust of a spinning globe of molten rock. The ball of molten rock circled a ball of blazing gas that was three hundred and thirty thousand times more massive than it. They were so far apart that light took eight minutes to cross the gap. The light was information from a star, and it could burn your skin from a hundred and fifty million kilometres away.
Sometimes the player dreamed it was a miner, on the surface of a world that was flat, and infinite. The sun was a square of white. The days were short; there was much to do; and death was a temporary inconvenience.
Sometimes the player dreamed it was lost in a story.
Sometimes the player dreamed it was other things, in other places. Sometimes these dreams were disturbing. Sometimes very beautiful indeed. Sometimes the player woke from one dream into another, then woke from that into a third.
Sometimes the player dreamed it watched words on a screen.
Let's go back.
The atoms of the player were scattered in the grass, in the rivers, in the air, in the ground. A woman gathered the atoms; she drank and ate and inhaled; and the woman assembled the player, in her body.
And the player awoke, from the warm, dark world of its mother's body, into the long dream.
And the player was a new story, never told before, written in letters of DNA. And the player was a new program, never run before, generated by a sourcecode a billion years old. And the player was a new human, never alive before, made from nothing but milk and love.
You are the player. The story. The program. The human. Made from nothing but milk and love.
Let's go further back.
The seven billion billion billion atoms of the player's body were created, long before this game, in the heart of a star. So the player, too, is information from a star. And the player moves through a story, which is a forest of information planted by a man called Julian, on a flat, infinite world created by a man called Markus, that exists inside a small, private world created by the player, who inhabits a universe created by...
Shush. Sometimes the player created a small, private world that was soft and warm and simple. Sometimes hard, and cold, and complicated. Sometimes it built a model of the universe in its head; flecks of energy, moving through vast empty spaces. Sometimes it called those flecks "electrons" and "protons".
Sometimes it called them "planets" and "stars".
Sometimes it believed it was in a universe that was made of energy that was made of offs and ons; zeros and ones; lines of code. Sometimes it believed it was playing a game. Sometimes it believed it was reading words on a screen.
You are the player, reading words...
Shush... Sometimes the player read lines of code on a screen. Decoded them into words; decoded words into meaning; decoded meaning into feelings, emotions, theories, ideas, and the player started to breathe faster and deeper and realised it was alive, it was alive, those thousand deaths had not been real, the player was alive
You. You. You are alive.
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the sunlight that came through the shuffling leaves of the summer trees
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the light that fell from the crisp night sky of winter, where a fleck of light in the corner of the player's eye might be a star a million times as massive as the sun, boiling its planets to plasma in order to be visible for a moment to the player, walking home at the far side of the universe, suddenly smelling food, almost at the familiar door, about to dream again
and sometimes the player believed the universe had spoken to it through the zeros and ones, through the electricity of the world, through the scrolling words on a screen at the end of a dream
and the universe said I love you
and the universe said you have played the game well
and the universe said everything you need is within you
and the universe said you are stronger than you know
and the universe said you are the daylight
and the universe said you are the night
and the universe said the darkness you fight is within you
and the universe said the light you seek is within you
and the universe said you are not alone
and the universe said you are not separate from every other thing
and the universe said you are the universe tasting itself, talking to itself, reading its own code
and the universe said I love you because you are love.
And the game was over and the player woke up from the dream. And the player began a new dream. And the player dreamed again, dreamed better. And the player was the universe. And the player was love.
You are the player.
Wake up.

Ringrazio Minecraft Wiki per il testo.
E Notch, per aver creato questa meraviglia.



domenica 20 novembre 2011

Una recensione ( che spero breve) a casaccio

Allora, ora farò una cosa che odio: vi dirò il "Perché".
Anzi ve ne dirò tre.

1. Quando ho letto il post dell'Orsa più splatter del web su Battle Royale e sulla competitività ho pensato a tre (oggi è il mio numero jolly) cose: che i film raramente sono belli come i manga da cui sono tratti, bello trovare un eccezione, che gli orientali sono capaci di gran cose con carta e penna e avrei potuto scriverne, che mi scappava la pipì.

2. Avrei dovuto scrivere questo post tre ( non scherzo) giorni fa, per vedere come faccio le recensioni e se ero dispersivo come il solito.
Mi sono dimenticato, ho scritto la mia recensione de "L'ultimo giorno di un condannato a morte" di Hugo per la scuola e chi si è visto si è visto.
Attendo la sentenza.

3.  Mi ero già riproposto di scrivere la recensione di questo manga una volta letto, perché mi è piaciuto e volevo vedere se sono capace di dire qualcosa a proposito senza scadere nella ridicola esaltazione come nel caso Vonnegut.



Death Note

scritto da Tsugumi Ohba e
 disegnato da Takeshi Obata


Death Note è diverso dal classico manga giapponese: niente robottoni giganti, onde energetiche e ninja.
C'è uno Shinigami ( dio della morte) che si annoia.
Passa tutta la sua esistenza a non far niente, ogni tanto scrive il nome di una persona sul suo quaderno, quella muore e lui aumenta la sua durata vitale di una quantità uguale a quella che l'essere umano avrebbe vissuto se il suo nome non fosse stato scritto.
Ci sono molti Shinigami nel mondo degli dei della morte, i quali passano il tempo giocando d'azzardo o bighellonando per ammazzare il tempo.
Ma Ryuk no, vuole svagarsi.
Così ruba un quaderno e lo getta nel mondo degli umani.
Passa qualche giorno, Ryuk è mandato a cercarlo sotto ordine del re degli Shinigami, il quale è ignaro del fatto che quello era proprio l'obbiettivo di quel tristo mietitore.
Light Yagami, un liceale, raccoglie il quaderno.
Dentro trova delle regole d'uso ( "La persona il cui nome sarà scritto qui morirà", "Perché il quaderno sortisca l'effetto desiderato, occorre avere in mente il volto della persona di cui si scrive il nome. In tal modo, si evita di colpire eventuali omonimi", "Se entro quaranta secondi dopo che è stato scritto il nome vengono indicate le cause della morte, questa verrà nella maniera stabilita", "Se la causa della morte non è specificata, le vittime designate moriranno tutte per arresto cardiaco", "Dopo aver indicato le cause della morte, si hanno a disposizione sei minuti e quaranta secondi per scrivere eventuali dettagli sulle condizioni della stessa"), ma pensa sia tutta una cavolata, alla stregua di una catena di Sant'Antonio.
Eppure la curiosità è tanta, ma su chi provarlo.
E se funzionasse? E se uccidesse un innocente?
Allora Light cerca una persona di cui possa sapere nome, volto, immediatamente se è vivo o morto e che la sua dipartita giovi al mondo.
Facendo zapping si imbatte nella notizia di un sequestratore pluriomicida che tiene in ostaggio dei bambini in un asilo nido, decide per questo "candidato", scrive il suo nome .
Passano quaranta secondi, l'uomo muore.

Così inizia il manga che si basa su tre (aridaje) pilastri fondamentali: la casualità, la logica e l'etica.



Fin dall'inizio nulla è premeditato: che Light raccolga il quaderno, che lui sia figlio del sovrintendente della questura di Tokyo, che sia un soggetto forte, in grado di sopportare ( anche se non del tutto) il rimorso di strappare vite umane, che sia convinto che uccidere i criminali, gli ignavi e chiunque faccia torto al prossimo senza essere punito, porti alla creazione di un mondo  migliore, è puro caso.



La logica è fondamentale: quando Kira ( il nome che i giornali usano per identificare il misterioso assasino di criminali) inizia ad uccidere, non rimane inosservato.
"L", un moderno Sherlock Holmes, viene incaricato dell'indagine e gli viene offerto il supporto delle forze del'ordine di mezzo mondo.
Così inizia una lotta psicologica, prima a distanza poi faccia a faccia, tra l'apparentemente innocente Light Yagami e tra lo strano detective, di cui nessuno ha mai visto il volto o conosce il vero nome ( poi chè parla sempre attraverso tramiti, come il personaggio di Watari) e quindi immune al quaderno della morte.
Il fulcro dell'azione sta proprio nei vari espedienti usati dai due, quelli del primo atti a scoprire l'identità di "L", quelli del secondo per ottenere prove concrete ( nessuno conosce gli Shinigami, figuriamoci i quaderni della morte) della colpevolezza di Light.



Ed infine l'etica: è giusto uccidere al fine di creare un mondo migliore? 
Questa è la domanda che viene proposta durante tutto il manga.
E si parte da una posizione di svantaggio, perché effettivamente sotto il "Regno di Kira", come lo chiamano le emittenti, il crimine, o per lo meno quello premeditato, quasi scompare.
Tant'è che intere nazioni, gli Stati Uniti per primi, si arrendono e fanno si che l'operato di Kira si legale e le indagini a suo carico vengono chiuse.
Allo stesso tempo però Light è un folle: non si fa problemi ad uccidere chi lo ostacola, innocenti per lo più, ed è pronto ad uccidere la sua stessa famiglia per raggiungere il suo fine.
Anche la figura di "L" non è una pura effige di bontà: usa mezzi tutt'altro che legali, ritiene chiunque sacrificabile, è pronto a provare il quaderno e divenire assassino lui stesso per provare la sua tesi.
O almeno così sembra.
Perché, se Light più volte sembra essere dalla parte degli indifesi, "L" lo è sempre.
Più volte questo manga ricorda come la giustizia non può essere omicidio, come anche che il fine non giustifica i mezzi, soprattutto quando è un fine effimero, un mondo che segue la "retta via" per paura, non per scelta.



In conclusione, consiglierei  a chiunque la lettura di questo manga, ma mi rendo conto che, sebbene sia composto da soli 12 volumi ( e dico "solo" per chi non sapesse che, in media, queste serie sono composte da quaranta\cinquanta tankobon, albi da circa duecento pagine), è una spesa piuttosto esosa, alla luce del fatto che l'ultima ristampa risale al 2006 (anche se forse adesso ne stanno facendo un'altra, ma non ne sono sicuro).
Esiste però un'anime ( cartone animato giapponese) fatto molto bene ( le musiche sono davvero epiche) e senza filler ( episodi di intermezzo che vengono disegnati e scritti da altri autori quando vene fatto un'anime in contemporanea con la serializzazione, come quando a Dragon Ball c'erano quei episodi stupidi dove Goku prendeva la patente, faceva una scampagnata, ecc.) che si può trovare in DVD ( o in streaming, tirchi).



Vorrei dire di più, accennare qualcosa della trama oppure mostrare in opera almeno uno dei tre pilastri, ma finirei per rovinare il gusto dell'attesa di coloro che volessero cimentarsi nella lettura\visione in quest'opera d'arte.

lunedì 14 novembre 2011

È successa una cosa

E che Democritico non me ne voglia.
Anche perché, in verità, il titolo l'ho copiato da una puntata della sit-com inglese "IT Crowd".

È appena finita la puntata settimanale di Fringe.
È una serie densa di messaggi, di morali, di frasi spettacolari.

"Tu sei ancora giovane, puoi permetterti di credere negli ideali. Io, invece, non posso che essere pragmatico"
Walter nativo all'agente Olivia Dunham, subito dopo aver condannato un universo alla distruzione. 

Da diciassette anni, questo Stato non è più una democrazia.
Da domani, inizierò a sperare in un'Italia migliore.
Ma oggi non mi riesce.
Oggi seguo il consiglio di un personaggio fittizio, guardo in faccia la realtà.
Ricordo che l'unico modo per non cambiare nulla è una continua mutazione: panta rei.
Guardo il nuovo governo Monti, vedo troppe facce già viste.
Penso alle elezioni, mi sembra di sentire un deja-vu, un senso di sfiducia mi attanaglia.
Gli errori si ripetono e a qualcuno il Nano faceva comodo.
A qualcun altro, faceva comodo una scelta facile e io non penso  che esista redenzione per le terze gazzelle.
Nessuna epifania.
Io non crederò neanche domani a questa cosa, non ce la faccio.
Si è fedeli solo a noi stessi, una volta semplificati fino all'osso, all'anima come altri la chiamano.
E tradirsi è scomodo, soprattutto quando è giusto farlo.
Ma forse mi sbaglio.

Ho appena iniziato a studiare Machiavelli, mi fa paura.
Strano, giurai di non aver mai timore delle parole e del pensiero, ma questo è il passato.
Mi hanno descritto quest'uomo in due modi:
1. Con una sottile satira, consegnò un libro che fingeva di aiutare il Principe, consegnando invece al popolo la chiave di comprensione dei piani della casta.
2. Un uomo distrutto, esiliato dalla patria, tenta di tutto per alleviare la sua pena, fino a che un giorno il ramoscello, a forza di piegarsi, si è spezzato. E ciò che ne uscito non erano schegge di legno, ma un manuale che sembra uscito da un film di serie Z, un libro che ha dato il potere di assoggettare ancora meglio le genti, un "Portale del Totalitarismo".
Non sapete quanto io vorrei credere nella prima immagine che ho visualizzato in mente.

E so quanto pomposo sembri tutto questo post, ma oggi ho la morte nell'anima, nessun ideale riscalda le mie membra.
E so anche che questa frase non fa che aggravare la mia posizione.

Eppure se oggi muoio, ieri sono rinato.
Anacronistico, non trovate?

"Berlusconi è un coglione, lo ammetto"
Mio padre.
Un berlusconiano convinto.
Ora non più così convinto.

So che non riuscirò mai a fargli cambiare idea politica, neanche gli sentirò mai dire "Avevo torto".
Un po' perché siamo testardi entrambi, a pari livello. 
Un po' perché questo figlio non riuscirà mai a convincere di qualcosa suo padre, siamo l'uno l'antitesi dell'altro.
Un po' perché le idee sono come i mattoncini del Jenga: una costruzione a torre traballante, togline una e crolla tutta.
Abbiamo troppa paura per farlo, per sbagliare.

Eppure ieri ho visto una breccia, che mi fa tremare oggi, ma che mi farà sperare domani.
Forse mi sbaglio e riusciremo a sostituire i mattoncini, un po' alla volta.
Senza troppa fretta.


Grazie Istruzioni per l'Ufo, per avermi fatto riflettere.
Grazie Cerex, per avermi spinto a leggerlo.

sabato 12 novembre 2011

Scurrile

Ho appena cagato il mio intestino crasso.
E questo è parte del problema.
Chiamiamolo Danno.
Non sono gratuito, cazzo, questo preambolo mi serve per arrivare al punto.
Il mio dottore mi inquieta.
Dopotutto è un uomo che può esordire con "Buongiorno" e concludere un discorso con "Non inizi un libro troppo lungo".
Ma questo medico con dotto è qualcosa di più.

-Salve.
-Salve Carta, qual è il problema?
-Mi ha rubato la battuta d'entrata; ma, a parte questo, ho febbre alta da un paio di giorni e problemi di stomaco.
-Mmm, bene...

Bene?!?!?
Io cago a spruzzo e scaldo l'etere come un termosifone e questo sarebbe un bene?

-Type type type.

Batte i tasti del portatile con una violenza tale che penso che da un momento all'altro succeda questo:


O a me o a lui.


Borbotta qualcosa, l'idiota, che potrebbe essere "Lei ha un cancro, con metastasi ovunque", ma anche "Vola vola l'Ape Maia".
Mi schiaccia vari punti del cranio, per vedere se ho la sinusite, per vedere se è vero che premendo determinate zone la testa di un uomo esplode.

-Fa male?
-Intende oltre al dolore che mi provoca un palmo di mano che mi trapassa lo stomaco?

Lo so, è inutile e stupido lamentarsi dei medici, fanno di tutto per curarti.
Almeno spero, porca vacca.
Perché da come mi guarda, le rare volte che distoglie l'attenzione dallo schermo del computer, mi squadra come farebbe un cattivo di James Bond.

Finisce di scrivere\fare una cazzo di partita di solitario, mi da una fottuta vaschetta.
In cui travasare quella parte di me da cui mi separo solitamente una volta al giorno.
In poche parole: dovrò cagare in un bidet...
E vaffanculo, non c'è un cazzo da ridere.
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
Ora, fermatevi un attimo a pensare, magari rileggete pure.
Indovinate quale parola ho adottato?
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)
(...)

Avete sbagliato tutti, la parola che ho scelto è vulcaniano






P.s.: Questo post è stato scritto durante un delirio febbricitante, causato in parte anche dal fatto che blogger è andato a puttane ( niente video, niente formato di scrittura, niente cappuccino con brioches e sigaretta a fine post) , regolatevi di conseguenza...



Lunga vita e prosperità

sabato 5 novembre 2011

Bah!

Oggi volevo scrivere.
Magari una nuova lettera.
Non sono arrivato.
Ho perso tempo a fare altro, tra cui contorcermi per i crampi allo stomaco, causati da chi sa cosa.
Forse non reggo più il gelato al gusto puffo come un tempo.
Però volevo farvi vedere questo:


Così, tanto per...

mercoledì 2 novembre 2011

Etichette

Non amo le persone fatte con gli stampi, anche se inevitabilmente pure io sono una di queste.
Perché abbiamo creato uno stampo per tutti e tutto.
Io sono il tizio che se ne sta in disparte, che non si interessa particolarmente di sport, strano e con un umorismo tutto suo.
Sono un tipo malinconico, uno di quelli che si mette a suonare per strada, uno senza peli sulla lingua.
Sono uno stronzo, un lupo affamato, un cane rabbioso, un cucciolo falso, una volpe poco scaltra, una talpa cieca.
Qualcuno mi da del pinguino.


Davvero assomiglierei a quell'umano?
Avrete notizie dai miei avvocati!

Sembro uno che sa molto, che non si vanta, un prete che cammina con il breviario in mano, un'idiota, un barbone alcolizzato.
Assomiglio a mio padre per carattere, a mia madre per le mani e per gli occhi, a mio zio per il resto del volto, a mio nonno per l'altezza ( per la mia famiglia un metro e settanta sono un evento raro), a mia nonna per la parlantina.
Tutte cose che mi sono state dette nel corso degli anni.
Quindi, sono un essere in funzione degli altri, di quello che pensano di me.
Eppure...
Com'è che non è così?
Non riesco ad arrendermi a questo, credo ancora di essere io a plasmarmi, in virtù del libero arbitrio.
Ma esiste davvero, il libero arbitrio?
Non sono condizionato da tutto ciò che ho fatto, vissuto, letto, parlato, studiato, mangiato, bevuto e respirato, quando compio un'azione?
Ho paura di questo.
E, ripensandoci rido di questo.
Sono arrivato a scrivere di ciò pensando: io odio chi etichetta gli esseri umani, le etichette vanno bene per i prodotti al supermercato, per sapere se sto per bere H2O o HCl.
Io stesso ho "scoperto" una di queste categorie: scrittori e non.

-Ehi Carta, mi puoi passare gli appunti di storia dell'arte?
-Quali appunti?
-Dai, non fare l'idiota, hai scritto tutta l'ora!
-Non stavo prendendo appunti...
-E che scrivevi allora?
-Ciò che mi passava per la testa...


La reazione.
Ok, tralasciate i troll.
Oppure guardatevi Troll 2 un Filmbrutto come pochi.

La voce si sparge, un paio di persone vengono a chiedermi:
-Cosa scrivi?
-Di tutto. Se voglio scrivere di un clown che si risveglia in un campo minato o di un bambino in triciclo ( e no, non era MaiMaturo, anche se...) che prende una multa, lo faccio.

-Perché scrivi?
-Bisogna che ci sia un perché per tutto?
-Sì
-Allora lascio a voi il compito di trovarlo.
Scusa Vonnegut se continuo a fregarti frasi, per giunta tutte da Ghiaccio Nove.

Uno è arrivato a domandarmi se:
-Non scriverai cose contro la società?

Per un momento mi sono chiesto se per caso ero caduto in buco dimensionale, che mi aveva trasportato in un libro di Orwell.
Mi capita di farmi queste domande quando la psicopolizia viene a farmi toc-toc.
Riconquistata la realtà, decisi di rispondere nel modo più cordiale possibile.
-Ma che cazzo di domanda è?
Giuro che ci ho provato.

Un vecchio amico, l'unico, tra parentesi, interessato a cosa scrivo e non al fatto che io scrivo, mi chiese:

-Ma dopo che tene fai? Le metti su un sito, non sto dicendo che ne valga la pena, beninteso, o le lasci ad ammuffire?
-Grazie, vedo che non sei migliorato nei complimenti da quella volta della vetrata.
-Non c'è di che, rompi meno il cazzo e rispondi...
-Credo che dovrei smettere di definirti come un amico. Stronzate a parte, le uso per accendere il fornello di casa.

Ed è vero, quindi non aspettatevi di vedere mai le storie di cui ho parlato sopra.
Anche perché sono incipit che mi sono inventato adesso.

Si parlava di libero arbitrio, no?
E in questo racconto, dov'è?
La fantasia e il fornello, forse sono le prove della sua esistenza.

Un breve haiku, per chi non ha voglia di leggersi tutta la pappardella, per chi crede nel essenza:

私はこれを書いています
おそらく彼らだけではありません

Io scrivendo ciò
forse non sono solo
sabbia nel vento.

(Grazie Google Traduttore)

lunedì 31 ottobre 2011

The life after*

Ed eccoci qui, a battere sulle porte di vetro come sempre.
Io me ne sto un po' indietro, in mezzo alla ressa, così mi piace.
Il vetro inizia a macchiarsi dei nostri fluidi, ma vabbè, oggi è il gran giorno.

L'inaugurazione.
Ogni anno la stessa cosa: un messaggio in vernice rossa in mezzo alla piazza centrale, l'indicazione di un luogo.
"Carne fresca al saldo, in commemorazione del Gran Giorno, alle coordinate x"
E tutti, con il nostro muoversi lentamente, ci dirigiamo al luogo designato.

Qualcuno urla: "Brains!"
Questa è un po' vecchia, ma la folla ride comunque.
Le guardie aprono le porte, ci si tuffa dentro ( per quanto velocemente ci sia possibile), si prende ciò che si trova .
Carne, a bizzeffe, ma sempre meno degli anni scorsi.
Quella umana, poi, quasi assente, raggiunge prezzi esorbitanti.
Da infarto, se qualcuno potesse averne ancora uno.

Ma quanto tempo è passato?
Mi sono addormentato durante una proiezione di "Shaun of the dead", che ho già visto 13 volte.
D'altronde mi si diano le attenuanti sono un eterno diciassettenne, anche se per altre ragioni.

-Cos'è quella?
Un'ombra, intravista solo di sfuggita, mentre uscivo.
-C'è nessuno?
Chi poteva muoversi così veloce? Il rigor mortis non tira fuori l'atleta che c'è in te...

-Sì, serve fare tutto sto casino, qui c'è gente che dorme!
Un uomo si alza, piano piano, dalla seggiola, mi guarda.
-Che mortorio...
Un'altro esclama, cadendo di faccia dal palco, una specie di attore degli anni trenta o un personaggio secondario di Dylan Dog.

Si fa amicizia, con il primo almeno.
L'altro continua a sparare battute che erano stantie anche quando erano vive.
L'uomo sonnacchioso mi racconta di essere un padre di famiglia, venditore di carne, che era venuto per aver abbastanza denaro per pagare una visita al museo di San Siro ai due figli.

Arriviamo alle porte, sono sprangate, fuori è notte.

-Oh, cazzo!
Urla baffetti, raccogliendo l'organo da terra.

-Che ci fate ancora qui?
Ci voltiamo e ci troviamo di fronte la copia sputata del Don Kisciotte di Cervantes.
-Qui è chiuso tutto da più di un'or...

CLANG!

Ci voltiamo di scatto, più o meno, una figura ci scruta con occhi di fuoco.
La guardia ammazza-mulini tira fuori la pistola e spara tre colpi.
Non sapevo esistessero più quegli aggeggi.

-AHRG!
Urla l'essere, scappando con velocità umana.

Raggiungiamo impauriti la zona del mostro, una macchia rossa ci accoglie.
-Il sangue, la fonte di vita...
Facciamo un balzo indietro, trovandoci alle spalle un uomo dai capelli lunghi e occhiali spessi, anche se non ha più gli occhi.

-Non può essere.
Dico io.
-Loro non vivono più qui, si nascondo nelle campagne!
Dice la guardia.
-Eppure quello è sangue e di sicuro non di pipistrello, come quello che vendo io... Oddio non vedrò più la mia famiglia.
Dice il padre.
-Che c'hai, paura di morire?
Dice il surrealista.
-Devo andare in bagno...
Dice il filosofo.

Cinque morti viventi, un vivo.
Incredibile.
Ci disperiamo, piangiamo, organizziamo piani, ci armiamo ma, alla fine, l'unica cosa concreta che riusciamo a fare è aspettare l'alba.
Con coraggio, esploriamo il centro commerciale.
E lo troviamo.
Esanime, si tiene le budella per non farle fuori.
Le lacrime rigano ancora il magro volto.
Lo mangiamo.

Si aprono le porte, ci salutiamo, ce ne andiamo.
Solo baffetti si ferma un attimo a guardare, sospira una frase che solo io riesco a sentire:
"Sono un morto vivente! La mia e la tua razza non possono coesistere. È naturale che quella delle due che ne ha la possibilità cancelli l'altra!"
Groucho Marx, Il pianeta dei morti, Sergio Bonelli Editore 


* Mi scuso con la vera The After Life per averle rubato il nome ma quando l'ho letto sono rimasto folgorato.
Grazie mille.
Pace, pizza e cervelli freschi.
La Carta